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WhatsApp, tre motivi per non usare l'app e due valide alternative

È l’app di messaggistica più usata al mondo, questo non vuole dire che WhatsApp sia la migliore dal punto di vista della privacy e della profilazione degli utenti. Ci sono alternative e vale la pena rifletterci un po’, anche per salvaguardare la riservatezza dei propri dati

Tre motivi per non usare WhatsApp e due valide alternative

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Tre motivi per non usare WhatsApp e due valide alternative

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I motivi per usare WhatsApp sono noti a tutti, a partire dal fatto che è l’app di messaggistica istantanea più diffusa e conta circa 2 miliardi di utenti, è facile da usare e diventa sempre più incline a proteggere la privacy.

Ci sono anche motivi per non usare WhatsApp, favorendo altre applicazioni magari meno diffuse ma più rispettose dei diritti fondamentali degli individui.

Giova ricordare che, nel 2014, Facebook ha comprato WhatsApp per 19 miliardi di dollari, un affare apparentemente spropositato se si considera che, all’epoca, l’app di messaggistica contava circa 450 milioni di utenti. In realtà il prezzo pagato appare giustificato se si considera che Facebook ha acquistato le rubriche telefoniche di altrettanti dispositivi mobili, dati essenziali se integrati quelli già in possesso della piattaforma di social networking.

Inoltre, sempre all’epoca, ogni giorno venivano scambiati 550 milioni di fotografie tramite WhatsApp, 200 milioni in più di quante se ne scambiassero con Facebook. Così Mark Zuckerberg ha deciso di comprare il concorrente più temibile, offrendo una cifra irrinunciabile per inglobare un’azienda, WhatsApp, che dava lavoro a poco meno di 50 persone.

Privacy, profilazione e monetizzazione

Meta, la holding che incorpora Facebook, Instagram e WhatsApp, è un’azienda quotata in borsa e deve rendere conto ai propri azionisti. La logica della monetizzazione diventa quindi essenziale e, poiché gli utenti ne fanno uso gratuitamente, occorre che diventino essi stessi fonte di guadagno.

Oggi circolano su WhatsApp oltre 100 miliardi di messaggi al giorno, inviati da circa 2 miliardi di persone. Un patrimonio di dati che Meta ha sempre sostenuto di non volere utilizzare per profilare meglio gli utenti a scopi pubblicitari, ma che possono essere incrociati (anche con Facebook e Instagram) per sapere cosa fanno gli utenti sulle piattaforme del gruppo.

È vero che, con il passare del tempo, WhatsApp ha fatto molto per migliorare la privacy, classico esempio ne è la crittografia end-to-end che consente soltanto a mittenti e destinatari di leggere un messaggio. Questa logica però sfugge ai backup, che WhatsApp richiede con una certa insistenza: la crittografia end-to-end è disponibile, ma va abilitata dall’utente. Per farlo occorre andare su Impostazioni / Backup delle chat / Backup crittografato end-to-end / Attiva. Da qui è necessario scegliere una password o una chiave crittografica che dovranno essere conservate, perché WhatsApp non la conosce e quindi non potrà comunicarla a chi la smarrisse o la dimenticasse.

La crittografia però non riguarda i metadati, ossia le informazioni relative ai contatti con cui si è dialogato, e quindi anche quante volte al giorno, a che ora e per quanto tempo.

Il punto non è avere qualcosa da nascondere, la privacy è un diritto a prescindere.

Tutto ciò, messo insieme, coincide con il lasciare in mano a Facebook un potere di profilazione e quindi di monetizzazione del quale, in parte almeno, siamo ignari.

Le alternative

Ne proponiamo due, ossia Signal e Threema. Non abbiamo scelto Telegram per due motivi. Il primo è la crittografia end-to-end che è disponibile soltanto quando si usano le Chat segrete e questo vuole dire che i messaggi normali possono essere intercettati (va detto che, per farlo, servono conoscenze e attrezzature non alla portata di chiunque).

L’altro motivo è la quantità di canali-spazzatura mediante i quali viene venduto di tutto, anche ciò che è illecito vendere. Insomma, non è un’app che i genitori dovrebbero raccomandare ai propri figli.

Di pasta diversa è Signal, che fa della privacy uno dei punti di forza, a cui si aggiunge che, al contrario dei prodotti Meta, non è un’app collegata a un ecosistema di piattaforme. Gratuita, dispone di una versione per dispositivi Android, iOS, Windows e distribuzioni Linux.

Altro suggerimento è Threema, app scelta dall’esercito svizzero proprio perché risponde alle norme sulla privacy elvetiche, molto stringenti. È poco diffusa, conta un parco utenti di poco superiore ai 10 milioni di persone e prevede un pagamento unico di 4,99 euro.

In cambio, però, offre la possibilità di non comunicare il proprio numero di telefono e di non concedere l’uso di informazioni personali.

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