Epifani: «Ma l’emergenza sui conti non era finita?»

Il leader Cgil: «Affrontare il tema della previdenza con la calcolatrice non va affatto bene»

da Roma

«Il governo deve fare la sua parte in commedia mettendo le risorse necessarie per dare risposte ai lavoratori. Se si vuole affrontare il tema della previdenza con la calcolatrice, non va bene». L’attacco più duro a Tommaso Padoa-Schioppa è arrivato da Guglielmo Epifani. L’idea di un tesoretto sovrastimato e la prospettiva di non poter spendere niente in più rispetto ai 2,5 miliardi di extragettito, nemmeno per il superamento dello scalone, ha sorpreso le organizzazioni dei lavoratori. Anche perché le parole del ministro sono arrivate a pochi giorni dall’incontro di martedì che molti, a partire dal sottosegretario alla presidenza Enrico Letta, considerano risolutivo, o quasi.
Tra le organizzazioni dei lavoratori è forte il sospetto che l’allarme al tavolo di ieri sia stata pretattica in vista delle ultime battute della riforma della riforma Maroni. Il ministro, «aveva detto che è finita l’emergenza finanziaria. Se è finita non bisogna usare toni da emergenza finanziaria», ha polemizzato Epifani. Oppure la testimonianza di una posizione pro-Bruxelles all’interno dell’esecutivo, visto che in realtà i suoi uffici stanno lavorando per coprire i costi dell’intesa sulle pensioni. «Padoa-Schioppa fa il suo mestiere. Ma anche noi lo facciamo», ha assicurato il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni.
Parole più dure rispetto a quelle pronunciate dallo stesso Bonanni in mattinata, E anche rispetto a quelle pronunciate dal leader della Uil Luigi Angeletti, quando ha sostenuto che quelli di Tps sono «conti ridicoli e sbagliati». Tanto che si era fatta strada l’idea che quella del ministro fosse stato uno sfogo contro i nuovi attacchi dei sindacati.
Impressione rientrata dopo un supplemento di vertice che Cgil, Cisl e Uil hanno avuto con i ministri Padoa-Schioppa, Letta e il responsabile del Lavoro Cesare Damiano in serata, dopo il tavolo complessivo. Un incontro segnato dal clima teso e tutto dedicato alle risorse per coprire il superamento dello scalone. È stata fatta una stima minima di 1,5 miliardi fino al 2010 per finanziare gli scalini, le quote o il mix tra le due soluzioni. Soldi che il ministero di via XX settembre ha precisato che non devono essere trovate dal Tesoro, ma attraverso soluzioni interne al sistema previdenziale. Come l’unificazione degli enti e l’aumento dei contributi. Un’impresa difficile, come dimostrano le indiscrezioni della Ragioneria generale dello stato sulle quote: per coprire l’abolizione dello scalone bisognerebbe prevedere quota 98. Più, quindi, della somma età-contribuzione della riforma Maroni, che è di 95.
Clima più positivo sul resto della trattativa.

Sulla destinazione delle risorse dell’extragettito, ribadita ieri dal ministro Damiano, c’è il consenso dei sindacati. Confermata la destinazione del tesoretto da 2,5 miliardi. Circa 1,3 andranno alle pensioni minime, 600 alle misure per i giovani e gli altri 600 agli ammortizzatori e allo sviluppo.

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