Epifani sogna un autunno "caldo"

Il segretario che pernotta negli hotel a quattro stelle pregusta già cortei e fabbriche occupate sulla scia del caso Innse Il ministro Sacconi, con lui nel Psi: "È come quello che guida contromano in autostrada e pensa che i pazzi siano gli altri"

Epifani sogna un autunno "caldo"

Molto esigente in tema di stanze da letto, Guglielmo Epifani ha seguito con viva partecipazione la protesta dei quattro operai Innse che hanno trascorso otto notti su una gru. L’idea di maestranze così scomodamente sistemate ha moltiplicato la sua indignazione sindacale. A lui, una gru non verrebbe mai in mente.
Se deve pernottare fuori casa, il segretario generale della Cgil sceglie i grandi alberghi. Come ha fatto quando è sceso a Milano per la ricorrenza del 25 aprile. Ha passato la prima notte meneghina all’«Hotel Pierre» e scritto con molta finezza il discorso per l’anniversario della Liberazione su carta intestata del quattro stelle. Per riprendersi poi dallo stress oratorio, ha dormito la seconda notte all’Hotel rivale «de La Ville», tanto per confrontare i frigo-bar. In totale ha speso 1100 euro, champagnetti a parte, prelevati dalle capienti casse della Cgil, alimentate da iscritti illusi e pensionati ignari. Nei giorni successivi, riannodandosi alle battaglie dei giorni precedenti, ha tuonato contro il lusso, i benefit dei manager e applaudito la decisione del premier Brown di alzare le tasse ai ricchi inglesi, suggerendo l’estensione della misura ai pari grado del Bel Paese.
Tornando all’oggi, Epifani considera una vittoria personale quella ottenuta dagli operai dell’Innse. Nonostante l’orrore per le notti sulla gru, mitigato dal fatto che non sia toccato a lui stare lassù, ritiene che nella circostanza abbia trionfato il sindacalismo di vecchia scuola. Quello puro e duro che non dà tregua ai padroni finché le cose non si risolvono secondo i piani della Cgil.
Ringalluzzito, parla già di autunno caldo con cortei, occupazioni e l’immancabile sciopero generale. Un suo vivace pretoriano, Giorgio Cremaschi, capo dei metalmeccanici, pregusta fin d’ora un inverno di «sabotaggi sindacali» e azzeramento degli accordi per far saltare il banco. Anche se nel tonfo potremmo andarci di mezzo tutti e, Dio non voglia, lo stesso «Hotel Pierre», costringendo Epifani a fare tappa nel solo «de La Ville». Insomma, grazie alla gru, i cgiellini e il loro capo si crogiolano nel sogno di un ritorno agli anni Settanta con fabbriche occupate, piazze piene, economia in ginocchio e il sindacato in trono.
Nel suo delirio a Epifani non vengono in mente due cose. La prima è che la vertenza Innse non l’ha risolta lui, ma l’intervento di un imprenditore bresciano che ha rilevato l’azienda. Senza costui, anche a soggiornare tutto l’inverno a dieci metri d’altezza, non si sarebbe cavato un ragno dal buco. Quindi è stato un «padrone» a togliere le castagne dal fuoco secondo la più terragna logica capitalista e, semmai, l’inventiva degli operai, bravi ad attirare l’attenzione di stampa e tv. Epifani è stato solo una comparsa e se ora fa il pavone è per difetto di analisi.
L’altra considerazione che gli sfugge, è che la Cgil attuale non è quella di vent’anni fa. Zoppo da anni, il sindacato social comunista - ex o tuttora, fate voi - è finito in crisi nera proprio con la gestione epifaniana. Oggi è isolato. Cisl e Uil vanno per conto proprio ed è salito alla ribalta l’Ugl, un sindacato di destra (ex missino) che ha moltiplicato gli aderenti. In gennaio, questi tre hanno firmato, senza la Cgil, un accordo con la Confindustria che regola su nuove basi i contratti aziendali dei prossimi anni. Epifani, testardamente, non ha voluto sottoscriverlo. Credeva, con il suo rifiuto, di bloccare tutto. A essere tagliato fuori è stato invece lui. La parte moderata della Cgil l’ha giudicata una sconsideratezza rinfocolando polemiche interne. Poiché prima o poi ci dovrà essere un congresso, Guglielmo potrebbe pagare con l’estromissione il passo falso.
Epifani ritiene se stesso e la Cgil il centro del mondo. Che il medesimo sia cambiato, neanche se ne accorge. Maurizio Sacconi, il ministro del Welfare, che lo conosce bene per la comune militanza nel Psi di Bettino Craxi ha detto di lui: «È come quel signore che guida contromano in autostrada e, ascoltando la radio che dà notizia del demente, commenta: “Non c’è un pazzo, sono centinaia”». Il ritratto un irrealista al cubo.
Mentre in tutto l’Occidente i comunisti sono diventati socialisti, Epifani, che era socialista, si è fatto comunista. Questo passo del gambero è la sua caratteristica principale. Per farsi perdonare il passato di riformista, addirittura di craxiano, Guglielmo si allinea con gli estremisti del suo sindacato. Nonostante ne sia ostaggio, non vuole però mostrarsi del tutto prono. Di qui, un comportamento a pendolo che lo porta a dire e disdire. Barcamenandosi tra moderati e scatenati si è conquistato il nomignolo di Nesci (dal latino «non so», sottinteso che pesci prendere). La sua faccia è sempre perplessa, come di uno svegliato di soprassalto che, senza il tempo di riflettere, deve dire la sua. In genere, per non sbagliare, parla male del governo e del Cav. Questo oggi. Quando invece c’era Prodi, sempre per non sbagliare, lo elogiava esageratamente offrendogli la «pace sindacale» della Cgil. Si vantò perfino di avere scritto lui il programma di governo nel 2006. In effetti, aveva messo ai fianchi del ministro dell’Economia, Tommy Padoa-Schioppa, una task force cgiellina con compiti di consulenza. Salvo poi, visti i disastri del 2007 - extra tasse sulle buste paga, aumento dei contributi a carico dei lavoratori, tagli agli enti locali -, fare il Nesci cercando di cancellare le sue impronte.
Guglielmo è un timido insicuro. Quando i cellulari erano una rarità, lui ne aveva già uno. Ancora lontano dalla segreteria, gli capitò di fare un discorso a una platea di sindacalisti. All’improvviso, il telefonino trillò. «Che è?», si chiesero i presenti di fronte al suono allora sconosciuto. Gli squilli si susseguivano e l’inquietudine aumentava. Si pensò a una bomba. L’unico impassibile era Epifani che faceva lo gnorri, senza il coraggio di cacciarsi la mano in tasca e spegnere l’aggeggio. «Avrebbe potuto - raccontò un testimone - comportarsi con naturalezza. Spiegare o rispondere. Tranquillizzare, insomma. Scelse invece di fare finta di nulla». Il Nesci.
Mutare con le circostanze è il nocciolo della sua natura. Infiniti, gli esempi nei suoi 59 anni di vita.
Fin dal suo ingresso a 24 anni nella Cgil, mezzadrilmente divisa tra Pci e Psi, Epifani fece parte del gruppo socialista. Fu nella sinistra socialista finché il partito se la faceva con i comunisti. Divenne invece craxiano appena Bettino prese le redini del partito. Fu con lui quando decise il taglio della scala mobile, col decreto di San Valentino, conquistandone la benevolenza. Si dette per scontato che avrebbe abbracciato la carriera politica all’ombra del capo. Arrivò invece il tifone Tangentopoli e il Nesci fece un istantaneo dietrofront.
Mentre il Psi affondava, Epifani girò le spalle ai naufraghi e corse a braccia spiegate nel Pci-Pds-Ds. Per far dimenticare lo zelo craxista, moltiplicò quello filocomunista. Si iscrisse al partito e portò con sé i socialisti della Cgil. Tanto fece che, diventato segretario generale, Sergio Cofferati lo volle come vice. Ne divenne il caudatario. Prono agli ordini, mai un’obiezione. Il Cinese ne fu così soddisfatto che nel 2002 lo designò a succedergli per mantenere, tramite lui, mani e piedi nel sindacato. Eletto, il Nesci fu definito il Prestanome.
Il suo rinnegamento del passato è stato totale e sfrontato. Quando nel 2007 tanti andarono a Hammamet per l’anniversario della morte di Craxi, il Prestanome non c’era. C’erano invece i capi di Cisl e Uil, Bonanni e Angeletti. Alla domanda «Perché Epifani manca?», Angeletti rispose sobrio: «Io non m’impiccio», Bonanni, più filosofico, osservò: «Noi lo abbiamo avvertito che saremmo venuti. Forse, è stato preso alla sprovvista». Il solito Sacconi disse fuori dai denti: «È evidente che non lo hanno lasciato venire». Ossia, è un travicello, prigioniero dei comunisti e rassegnato a esserlo.
Giuseppe, il papà del Nostro, era un dc di obbedienza fanfaniana e fu sindaco di Cannara, in quel di Spoleto. Il rampollo nacque a Roma. Al liceo incontrò Giusy, da 40 anni sua moglie e medico dell’Inail. Sono affiatati e senza figli.
Il futuro Nesci fu un ragazzo modello. «Non sono mai stato giovane - si è lodato -. Nel doposcuola assistevo gli anziani delle borgate. Per la maturità, come premio, andai a studiare a Parigi, mentre i miei compagni partivano per l’Isola di Wight». Cioè, lui secchione, gli altri hippy. Ora però lui pernotta al «Pierre» e loro in roulotte. A Parigi approfondì la cultura francese alla quale lo aveva già iniziato il padre. Oggi ha al suo attivo una traduzione dei Fiori del Male di Baudelaire e un appartamento parigino. È il suo rifugio, con Giusy, ogni volta che gli operai, scendendo dalla gru, lo lasciano in santa pace.
Finite le scuole, prese Filosofia addottorandosi alla «Sapienza» con una tesi su Anna Kuliscioff, compagna di Filippo Turati, fondatore del Psi. Dopo un breve apprendistato come assistente volontario, fu preso dal raptus social-sindacalista. Si iscrisse al Psi e alla Cgil. Nella sua sezione, Roma centro, conobbe Enrico Mentana, Roberto Villetti e Enrico Boselli. Alla Cgil fu notato dai superiori per l’ingegno e dalle segretarie per la leggiadria. Aveva infatti una straordinaria somiglianza con Indiana Jones. Divenne per tutti l’Harrison Ford della Cgil per l’immobilità del viso atteggiato a un permanente ghignetto. Debuttò all’Ufficio studi diretto da Giuliano Amato, socialista di sinistra come lui.
Cominciò, dunque, dalla cima senza affumicarsi nelle trattative e sfiancarsi nei cortei. Giunta l’ora di cimentarsi con una categoria, i mammasantissima del sindacato esclusero subito che un filosofo come lui potesse finire tra minatori e portuali. Gli furono affidati i delicati poligrafici tra i quali restò dal ’79 al ’90 fino a diventarne segretario generale. Erano gli anni della rivoluzione tecnologica nei giornali. Curò il passaggio dalle rotative ai computer seppellendo, tra pensionamenti, slittamenti e ritiri volontari, una categoria superata dai tempi. Quando lasciò l’incarico, i superstiti si contavano sulla punta delle dita come i mughi sul Gran Sasso.
Guglielmo si tuffò nel craxismo imperante.

Affinò il linguaggio passando dal sindacalese al politichese. Si era già librato per un seggio a Montecitorio quando il pool di Milano si mise in moto. Il Psi fu travolto. Epifani fermò il volo a mezz’aria. Chiuse le piume socialiste, prese quelle comuniste e fece carriera.

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