Pier Augusto Stagi
Avrebbe potuto diventare famoso come «l'uomo delle fughe», vista la sua attitudine di attaccante generoso, invece proprio per un attacco è diventato famoso sì, ma si è anche trovato tante porte chiuse in faccia. Nato a Desio (Milano), nel '71, Filippo Simeoni è però un laziale purosangue, e nel grande ciclismo ci è approdato nel '95 con la maglia della Carrera Tassoni, correndo per due anni al fianco dell'allora astro nascente Marco Pantani e di Claudio Chiappucci. Poche vittorie nel palmarès - otto, con il 2000 a fare da anno d'oro con quattro successi tra i quali una tappa del Giro del Lussemburgo e una del Regio Tour con trionfo nella classifica finale - ottenute quasi sempre al termine di lunghe azioni, spesso solitarie.
Bravo gregario al servizio di capitani di prestigio come Bartoli e Cipollini, Simeoni è balzato alla ribalta delle cronache mondiali nel Tour de France del 2003 quando Armstrong lo affrontò con un gesto plateale, impedendogli, lui in maglia gialla, di andare in fuga per far pagare allitaliano lammissione di aver assunto prodotti dopanti prescrittigli dal dottor Michele Ferrari nel processo che si teneva a Bologna. Armstrong scese in campo al fianco di Michele Ferrari, da sempre suo preparatore. E lo statunitense reiterò le sue azioni pochi mesi più tardi, ad inizio 2004, definendo Simeoni «un bugiardo» in un'intervista concessa a Le Monde. Scattò allora la sfida legale: Simeoni querelò il texano, un paio d'anni di beghe tra avvocati fino all'accordo, con remissione della querela presentata da Simeoni e identica sorte per quella inoltrata da Armstrong presso il Tribunale di Roma.
Risultato? Che oggi Simeoni corre per la Naturino Sapore di Mare - e proprio in questi giorni ha fatto il suo rientro in gruppo dopo un brutto infortunio - e ha dovuto fare i conti con un ostracismo più o meno sommerso che gli ha sempre chiuso le porte di formazioni di ProTour.
E ieri proprio Armstrong, vincitore di 7 Tour de France, si è schierato al fianco di Landis: «Sono stato al Tour e a Morzine ho visto fare a Floyd unimpresa che non avevo mai visto nel ciclismo. Credo ancora in lui e nel fatto che sia innocente, a lasciarmi scettico, in realtà, è il laboratorio di Chatenay Malabry». Lo stesso laboratorio che, lo scorso anno scatenò vivace polemica, perché, dopo aver analizzato le provette di Armstrong del Tour 1999, trovò tracce di Epo nel sangue del texano. (Nel 99 lEpo non era ancora ricercata negli esami.
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