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Erba, la perizia del Ris può riscrivere il caso

La Scientifica rivela: nessuna traccia biologica dei coniugi Romano nella casa del massacro. L’unica macchia di sangue resta quella trovata in auto. Dopo la pubblicazione delle conversazioni in cella tra i due imputati, emergono nuovi elementi in grado di modificare la ricostruzione degli omicidi

Erba, la perizia del Ris può riscrivere il caso

Felice Manti e Edoardo Montolli

La strage di Erba diventa un rebus. Un giallo intricato a cui è a oggi impossibile trovare una soluzione. Perché per la prima volta Il Giornale mostra le conclusioni della perizia del Ris, una perizia che potrebbe rimettere in discussione tutte le accuse contro i coniugi Romano. Si legge infatti: «Nonostante i numerosi e reiterati sforzi analitici profusi, è possibile concludere che i profili genetici relativi alle vittime, sono stati ottenuti unicamente da tracce e reperti acquisiti sulla scena del crimine (appartamento delle vittime e scale del condominio), mentre i profili genetici relativi agli indagati sono stati ottenuti da oggetti e tracce acquisiti nel loro appartamento o nelle autovetture di loro proprietà o nelle loro disponibilità».
Il primo giallo. Queste conclusioni, giunte dieci mesi dopo la strage e depositate il 9 ottobre alle 17,30 nelle mani del procuratore della Repubblica di Como, Massimo Astori, non sono però accompagnate dalle analisi compiute dai Ris sui reperti. Ma soprattutto potrebbero confermare quanto ipotizzato ieri: Olindo Romano e Rosa Bazzi potrebbero aver deciso di autoaccusarsi della strage perché spiazzati dalle prove raccolte dagli inquirenti (la traccia di sangue e il riconoscimento del sopravvissuto). Una scelta delirante, che troverebbe conferma nella frase di Olindo rivolta a Rosa nel carcere di Como prima di confessare, intercettata dai carabinieri e pubblicata ieri sul Giornale: «Se per disgrazia trovano qualcosa, ti processano e ti danno l’ergastolo - dice Romano - se invece confessi, hai le attenuanti e il rito abbreviato. Dici la verità, che la moglie non c’entra niente ti ha fatto solo l’alibi ecc., ecc... E non becchi niente...». A questa frase Rosa risponderà sempre: «Ma non è vero, Olli». Una confessione, dichiararono i legali lo scorso 11 ottobre, sulla quale il gup Vittorio Anghileri avrebbe rilevato la violazione dei diritti della difesa.
La ricostruzione. Per capire l’importanza cruciale della relazione del reparto scientifico dei carabinieri di Parma, bisogna ricostruire a fondo ciò che accadde la sera dell’11 dicembre: la coppia sarebbe entrata in casa di Raffaella Castagna e qui avrebbe ucciso lei, la madre e il piccolo Youssef. Poi, sul pianerottolo, Rosa si sarebbe scagliata sulla vicina di casa Valeria Cherubini, mentre Olindo avrebbe tentato di sgozzarne il marito, Mario Frigerio, l’unico superstite. Il tutto dopo colluttazioni, spinte, percosse a calci e pugni. Fin qui i primi fatti. Ma secondo il Ris né sulle vittime, né in casa delle vittime, né sul pianerottolo dello stabile, sarebbe stata trovata saliva, sangue, un capello, e nemmeno un’impronta del piede riconducibile ai due, che pure dovevano essere affannati, sudati, forse feriti. Il che lascia esterrefatti specie se si confronta queste conclusioni con quelle appena scritte sempre dai Ris su un altro mistero, quello di Garlasco, che hanno escluso categoricamente la presenza di altre persone nella villetta di Chiara Poggi la mattina dell’omicidio. Come a dire che sulla scena del delitto è pressoché impossibile non lasciare tracce.
Il mistero sui tempi. Ma a Erba c’è molto di più, quanto a stranezze. Secondo l’accusa Olindo e Rosa si sarebbero cambiati in casa dopo la strage e quindi diretti al McDonald’s di Como per fornirsi un alibi. Eppure, neanche nel loro appartamento c’è il benché minimo indizio che riporti alle vittime. I tecnici avrebbero persino controllato la lavatrice e ogni angolo dell’appartamento. Niente. Olindo e Rosa sarebbero stati fenomenali a cancellare anche i dettagli invisibili a occhio nudo. Bravissimi e rapidi. Persino troppo. Perché, come se ciò non bastasse, non si spiegano i tempi: per dar fuoco all’appartamento della Castagna, cambiarsi, andare nel box adibito a lavanderia, prendere la macchina e uscire senza farsi vedere, avrebbero infatti avuto solo pochissimi minuti. Un vigile del fuoco che abita di fronte allo stabile fu preciso nel dire di aver visto del fumo e di essere intervenuto esattamente alle 20,26, tre-cinque minuti dopo aver sentito le urla. Alle 20,30 c’erano sul posto i soccorsi. Tutti i vicini erano in cortile ma nessuno ha visto uscire di casa la coppia o andar via la loro Seat. Come avrebbero potuto far tutto Olindo e Rosa in così poco tempo?
Quella traccia di sangue. Si potrebbe paradossalmente pensare ad una dinamica diversa allora, con i due che lordi di sangue vanno giù nella lavanderia-garage della casa e saltano in auto per la fuga. Ma anche lì i Ris non hanno trovato una sola traccia delle vittime: se marito e moglie si fossero cambiati lì, qualcosa presumibilmente sarebbe rimasta per terra. Eppure c’è soltanto una macchia di sangue, appartenente a Valeria Cherubini, trovata sul battitacco della Seat. Non una pozza, ma una minuscola macchia trovata alla seconda perquisizione dai carabinieri di Como. E se invece Olindo e Rosa fossero entrati zuppi di sangue per cambiarsi e lavarsi poi all’esterno, i sedili spugnosi della vettura sarebbero stati impregnati di sangue. E sarebbe stato praticamente impossibile ripulire tutto in pochi minuti, dato che alle 21,30, scontrino alla mano, erano al McDonald’s. Impossibile pure pulire tutto più tardi: la notte stessa della strage la loro auto è stata perquisita dai carabinieri di Como.
Puzzle impossibile. Insomma si tratta di un puzzle dove niente coincide. Neanche l’impronta di una scarpa rinvenuta sul luogo della mattanza, che però non apparterrebbe né a Olindo né a Rosa. Nemmeno il guanto di lattice verde, sporco di sangue, dei quali i legali della coppia ad oggi non sanno se sia stato rilevato il Dna della mano assassina che lo indossava. Nemmeno si capisce come quella macchia sull’auto sia l’unica rimasta di quattro persone sgozzate e di un quinto sopravvissuto per miracolo.

Niente altro: né nella loro abitazione, né nel locale lavanderia subito perquisito, né, soprattutto, sulla scena del crimine dove si sicuro non avrebbero potuto ripulire alcunché.

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