Dal nostro inviato ad Ankara
Il più esplicito è il premier Erdogan. Apprende notizia da Romano Prodi, a Riga, durante il vertice della Nato, e sbotta: «È una decisione inaccettabile, non me laspettavo». E per una volta il Paese, di solito molto litigioso, è daccordo con lui. Un Paese che considera i turchi di Cipro come fratelli e che pertanto non possono essere abbandonati al loro destino. Ankara ha spinto la solidarietà fino a rifiutarsi di aprire porti e aeroporti alle merci provenienti dalla Cipro ufficiale, che è greca e che è membro a pieno titolo della Unione europea. Erdogan sapeva che avrebbe pagato un prezzo, ma non si aspettava che fosse così alto. «Il nostro governo sperava di poter chiudere la maggior parte dei dossier, su cui non ci sono problemi insormontabili - spiega Kadri Gursel, caporedattore del quotidiano Milliyet -. Invece scopre che questo non accadrà fino a quando non avrà ceduto alle richieste di Bruxelles». È uno schiaffo, inatteso e violento.
Appena rientrato dalla Lettonia, Erdogan convoca, in aeroporto, una conferenza stampa. Il volto è provato, le occhiaie sono profonde. Parla in un silenzio irreale. Cerca, nonostante tutto, di rassicurare l'opinione pubblica. «Si tratta solo di una richiesta della Commissione, ma la decisione non è stata presa, dunque le trattative non sono ancora bloccate», spiega. Ma non ha intenzione di compiere passi indietro: «Daremo la nostra risposta formale su Cipro il 24 dicembre, ma certo non possono chiederci più di quanto abbiamo già dato. Non faremo altre concessioni». Il ragionamento è chiaro: la colpa non è nostra, ma della Ue, che si ostina a ignorare i diritti dei turco-ciprioti. «Se i Venticinque manterranno i loro propositi vorrà dire che il negoziato verrà ritardato - aggiunge -. Ogni sei mesi avremo la possibilità di rivedere la questione. Ho sempre detto che sarebbe stato un lungo viaggio».
Già, ma quanto lungo? Il primo ministro ha ricordato il traguardo del 2014, ma di fatto ora sembra considerare tempi più lunghi. «Noi continuiamo stabilmente sulla nostra strada - insiste -, il nostro obiettivo è di aumentare la libertà e il benessere dei cittadini e la competitività delleconomia turca». Ma questo non può avvenire «sacrificando» Cipro.
Ad Ankara e a Istanbul prevale il pessimismo. «Se lUnione europea vuole che la Turchia diventi un Paese concorrente in economia e politicamente ostile ci sta riuscendo», predica da settimane Onur Oymen, uno dei leader dei Repubblicani, il principale partito dopposizione di orientamento laico e nazionalista. Anche dalla maggioranza piovono reazioni negative, a cominciare dal capo della Commissione esteri del Parlamento, che si dice sconcertato.
Una sola voce è dissonante, quella della Confindustria turca. «Non siamo eccessivamente preoccupati», dichiara il responsabile della Tusiad per le relazioni internazionali, litalo-turco Aldo Kaslovski. «Il periodo da noi previsto di 10-15 anni ci pare sufficiente affinché oltre a realizzare le condizioni di Copenaghen poste dalla Ue, sia risolta anche la questione cipriota», precisa. «Francamente non ci sentiamo di esercitare pressioni sul governo, come abbiamo fatto in passato per i diritti umani, perché riteniamo che sulla questione di Cipro la Turchia abbia la coscienza tranquilla, dato che avanza una richiesta ragionevole e cioè la fine dellembargo commerciale e dellisolamento internazionale alla parte turca dellisola, contemporaneo a una apertura dei porti e degli aeroporti alle merci greco-cipriote».
Ma lUnione europea non è della stessa opinione e la crisi appare inevitabile.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.