Eredità Agnelli: un libro riapre la caccia al tesoretto dell’Avvocato

RomaL’eredità più celebre e controversa d’Italia torna a far discutere. Accade grazie a un libro (M. L’importanza di chiamarsi Agnelli) che sarà pubblicato a partire da oggi da Milano Finanza, il quotidiano economico del gruppo Class. L’autore è una persona che nella vicenda che ha diviso Margherita, unica figlia vivente di Gianni Agnelli, dal resto della famiglia dell’Avvocato, morto a Torino il 24 gennaio 2003, ha un ruolo tutt’altro che secondario. Si tratta di Emanuele Gamna, che di Margherita fu legale e consigliere nella fase di trattativa per la suddivisione del patrimonio del padre e che in seguito fu da lei diviso da una lunga vicenda legale non ancora conclusasi.
In un estratto del volume reso noto ieri da Dagospia, Gamna ripercorre l’inizio della vicenda, quando cioè Margherita, qualche mese dopo la morte del padre, contatta l’autore, a cui lo lega una lunga amicizia: «Mi chiama al telefono di casa a Milano, non al telefonino come era avvezza fare. È agitata, non fa preamboli, entra subito in argomento. “Tu mi hai sempre ben consigliato, ho più che mai bisogno del tuo aiuto, sono in una situazione orribile. (...) Sono ai ferri corti con mia madre (Marella Caracciolo, ndr) che è del tutto succube di Gabetti e Grande Stevens (i suoi avvocati, ndr) e non riesco a venire a capo di nulla. (...) A Torino mi trattano come se io fossi un’idiota e, peggio, un’estranea, come se non avessi diritto di sapere, in qualità di erede, se non di figlia».
Parole che adombrano già il vero mistero dell’eredità Agnelli: la presunta e mai dimostrata presenza di un patrimonio off-shore che esula naturalmente dall’eredità ufficiale e della cui esistenza Margherita inizialmente sembra convinta: «Il testamento di mio padre - avrebbe detto Margherita secondo Gamna - è aria fritta e racconta solo ciò che tutto il mondo sa. (...) Non si capisce perché con me, che sono sua figlia, è calato un silenzio di tomba sui soldi di papà, di quelli che senza dubbio stanno fuori. Nessuno sa niente, nessuno mi dice nulla».
Gamna accetta l’incarico di rappresentare Margherita nella difficile trattativa ponendo la condizione sine qua non di improntare tutto alla massima ragionevolezza e alla volontà di tenersi «lontano dalle aule giudiziarie» e nel giro di qualche tempo raggiunge il risultato di suddividere così il patrimonio dell’Avvocato: 1,2 milioni a Margherita, 300 milioni più un vitalizio di 7 milioni annui alla vedova e la Fiat a John Elkann, primogenito di Margherita, che ha avuto altri due figli da Alain Elkann (Lapo e Ginevra) e cinque da Serge de Pahlen. Inizialmente, almeno secondo Gamna, Margherita è soddisfatta dell’accordo, ma poi ecco nuovi guai. Margherita disconosce l’intesa, denuncia nuovamente l’esistenza di un «tesoretto» tenuto nascosto, interpreta (secondo Gamna in modo strumentale) il ruolo della madre che fronteggia le prepotenze subite nell’interesse dei figli. A finire nel tritacarne è anche Gamna, che non solo viene accusato da Margherita di aver fatto il doppio gioco ma finisce anche indagato (e poi condannato) per aver nascosto al fisco parte della maxiparcella da 15 milioni riconosciutagli da Margherita.

Ora nel libro la versione di Gamna, che certamente non piacerà a Margherita; la quale ha già querelato il suo ex avvocato per un’intervista rilasciata al nostro Nicola Porro nell’aprile 2010. La conclusione di questa storia di eredità e carte bollate sembra davvero molto lontana.

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