Ha 57 anni suonati ma tutti lo considerano ancora uno dei giovani che hanno rinnovato la scena blues. Un bluesman sui generis, un nero newyorchese laureato e che da piccolo a scuola cantava le arie di Verdi. Uno che fa il blues legato alle radici ma proiettato nel presente con ballate moderne, con infusioni di folk, con una vena melodica e canzonettistica nel senso nobile del termine. Insomma, Eric Bibb è un musicista da ascoltare e loccasione, stasera alle 18.30 al Teatro Dal Verme, per la meritoria rassegna «Music Club. Acoustic 09». Figlio darte (col papà Leon, verace artista folk, ha inciso album come lo stupendo Family Affair, mentre lo zio John Lewis, come tutti gli appassionati di jazz sapranno, era lanima creativa del Modern Jazz Quartet) ha lasciato presto la vita borghese per seguire il richiamo della strada e del blues. Per lui «il rock è il rhythm and blues dei ragazzi»; nei suoi dischi (che escono a getto continuo, lultimo è Get On Board) guarda al passato per vivere il presente e pianificare il futuro. «Parto da Mississippi John Hurt e Robert Johnson per ampliare il mio spettro sonoro al gospel, al soul, al country. Mio padre mi ha insegnato ad usare la ballata per raccontare storie di vita, mentre mio zio John Lewis, uno dei più grandi improvvisatori della storia, ha dato dimensione internazionale alla mia musica».
Pizzicando morbidamente - ma con decisione la chitarra - cantando con voce assorta e coinvolgente, Bibb ha un vasto repertorio di traditional, di gospel e di brani da lui composti in grado di soddisfare il pubblico più esigente. A volte tracima nel reggae, nel pop, ma sempre con sobrietà ed eleganza e senza perdere la strada maestra. «Viviamo in una situazione diversa dai primi del Novecento; rivendico la mia identità di bluesman ma la mia esperienza è collegata anche a ciò che vivo. Certo non ho sofferto come i primi bluesmen ma sono in grado di comunicare emozione».
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