Elsa Airoldi
Tornano le Nozze di Figaro (Vienna, Burgtheater 1786). La commedia che muove sulla scena del gran teatro del mondo un'umanità vista nell'ottica dell'eros sempre in agguato. Gioioso e inquieto, lecito e rubato.
Il titolo mozartiano torna alla Scala, dopo le recite 2002 agli Arcimboldi, nella sua veste più celebrata. L'allestimento del 1981 che aveva segnato il debutto operistico in teatro di Riccardo Muti e di una delle sue più celebri collaborazioni con Giorgio Strehler.
Nessuno dei due era alle prime Nozze. Il regista aveva già presentato il titolo all'Opéra. Il direttore a Firenze, con la regia di Antoine Vitez, invitato al Maggio in anteprima. Quelle Nozze rimarranno un punto di riferimento irrinunciabile e verranno riprese ('82, '87, '89, '97 e 2002) senza mai mostrare i segni del tempo. Contrariamente, per fare un esempio pertinente, a quanto sta avvenendo alla Staatsoper di Vienna con le Nozze di Ponnelle, alla quali forse solo la raffinatissima bacchetta di Muti riesce a togliere un po' di polvere.
La sottile declinazione psicologica dei personaggi ottiene giustizia dagli spazi disegnati da Ezio Frigerio. Stanze vuote e madreperlacee. Qui una sedia, là una cesta. Là ancora il grande letto sfatto della camera della contessa, il luogo delle situazioni più stravaganti. Intanto Franca Squarciapino consegna misurati costumi d'epoca. All'insegna dell'essenziale e del gioco di specchi pure le rigorose geometrie strehleriane (riprese da Marina Bianchi). Solo arricchite dal gesto che spazzola un abito o getta villano un carniere sulle lenzuola immacolate. L'azione in fondo è tutta lì.
Il motore delle Nozze è il sentimento amoroso. Non si deve tuttavia scordare il testo di Beaumarchais dal quale il il libretto di Lorenzo Da Ponte prende le mosse. Una commedia al vetriolo che mette alla berlina chi vanta privilegi già cancellati dalla Storia. E che ci volle tutta a far accettare a Giuseppe II. Non a caso il pretesto di ogni intrigo è lo ius primae noctis che il Conte pretenderebbe dalla sposa di Figaro.
Le Nozze, lontane dal buffo napoletano, recuperano piuttosto lo spirito dell'opera italiana (l'aria di Barbarina «L'ho perduta», potrebbe averla scritta Bellini, il verrai... non mancherarai... verrai del duetto Conte-Susanna Pergolesi. E che dire di Cherubino, paggio adolescente e amorale che le vuole tutte, e, travestito da donna, vuole anche sé stesso?).
La tradizione musicale dei Paesi di lingua tedesca da l'impronta alla partitura con i molti squarci sinfonici. Numerosissimi i recitativi "secchi" che confluiscono spontaneamente nelle arie. E possono essere serrati come quelli di Muti. Oppure lenti come quelli di Karajan. E Gérard Korsten, sudafricano (di Pretoria) di nascita e statunitense-austriaco di formazione, curriculum generoso anche comprensivo di sei anni di direzione musicale a Cagliari, debuttante al Piermarini? Lento o rock? Si saprà questa sera.
Occasione che ovviamente celebra l'anniversario mozartiano. Ma ripropone anche uno dei titoli più amati. Stessi lo splendido Figaro di Ildebrando D'Arcangelo e lo stupefacente Cherubino di Monica Bocelli. Diverso il resto del cast che affida languori e malinconie della Contessa a Miriam Gauci, astuzie del Conte a Pietro Spagnoli, vis comica di Susanna, deus ex machina di tanti accadimenti, a Diana Damrau, inquietante malizia di Barbarina a Oriana Kurteshi.
Cantanti e i suonatori, assieme al Coro di Bruno Casoni, infuocheranno la «folle journée». E poi la placheranno nel silenzio: la «corona» piena di suspence che precede la richieta di perdono del Conte.
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