Controcultura

Esiste una letteratura dimenticata contro il Parlamento e per le élite

Esiste una letteratura dimenticata contro il Parlamento e per le élite

C onsalvo Uzeda di Francalanza, il protagonista del romanzo storico di Federico De Roberto, L'imperio, è descritto dall'autore come un uomo erudito (sia pure di cultura vasta ma superficiale) e spregiudicato, ambizioso e conservatore ma pronto a stemperare il suo conservatorismo in una visione vagamente progressista, miscela di opportunismo e trasformismo. Egli rappresenta metaforicamente quella aristocrazia siciliana che, all'indomani dell'Unità d'Italia, cominciò a riciclarsi con abilità e spregiudicatezza, nel tessuto politico e sociale del nuovo Stato unitario con il proposito di mantenere intatto, ovvero di accrescere, quel potere e quella influenza consolidatesi nel tempo attraverso alleanze matrimoniali e patrimoniali fra le più antiche casate. Una battuta attribuita dall'autore a uno dei protagonisti della saga familiare degli Uzeda è più che eloquente: «L'Italia è fatta, ora dobbiamo fare i nostri interessi».

È noto come Federico De Roberto avesse preso a modello ispiratore, per la saga iniziata con I Viceré e conclusa con L'imperio, le vicende di una più illustri e antiche famiglie siciliane, i Paternò Castello dei marchesi di San Giuliano, assurti al rango di Viceré di Catania. La figura, poi, di Costanzo Uzeda di Francalanza, protagonista assoluto di L'imperio fu modellata con una operazione letterariamente suggestiva ma storicamente ingenerosa su quella del marchese Antonino, che ebbe un ruolo importante nella vita politica dell'Italia unita, come parlamentare e come ministro degli Esteri, nell'ultimo scorcio del secolo decimonono e nel primo decennio del ventesimo.

Al di là dei suoi indiscutibili meriti letterari e al di là dell'impietoso e corrosivo ritratto di uno dei maggiori statisti dell'Italia unitaria, il romanzo L'imperio si inserisce a pieno titolo in quel ricco (ma poco frequentato dagli studiosi, siano essi letterati o storici) filone di letteratura e saggistica antiparlamentare e, per certi versi e in certi casi, antidemocratica fiorita nei primi decenni successivi all'unificazione: un filone del quale si occupò, verso la metà degli anni trenta, uno storico del pensiero politico, Rodolfo De Mattei, in un suo succoso e sapido volume intitolato Cultura e letteratura antidemocratiche dopo l'Unificazione. Di romanzi storici o di costume risalenti a quel periodo se ne potrebbero ricordare diversi a cominciare da quello di Matilde Serao intitolato La conquista di Roma (1885) a quello dal titolo L'onorevole Paolo Leonforte (1895) scritto da un ormai quasi dimenticato letterato, Enrico Castelnuovo, che in questo e in altri romanzi raccontò il mondo affaristico e politico del suo tempo.

Certo, la statura artistico-letteraria di Federico De Roberto, ultimo grande esponente di un «verismo» coniugato con la tradizione del romanzo storico ottocentesco e dello «psicologismo» mutuato da Paul Bourget, è ben diversa da quella dei suoi contemporanei ed epigoni. Ma, facendo astrazione dalla eleganza e dal fascino narrativo del contenuto romanzesco del libro, L'imperio (che, in realtà, non venne completato e uscì postumo) ha una importanza che supera di gran lunga i confini della letteratura. Esso, infatti, offre un quadro mosso, articolato e pieno di chiaroscuri della vita parlamentare dell'Italia umbertina alle prese con il trasformismo, con l'opportunismo politico, con le emergenti pulsioni sociali e socialisteggianti, con la progressiva smarcatura dai concetti di Destra e di Sinistra, con la degenerazione della prassi parlamentare in un continuo mercanteggiare per la conquista del consenso, con il continuo declino morale di quelle élites politiche che avevano portato all'unificazione del paese. In questo romanzo non c'è nessuna raffigurazione ironica o bozzettistica dei deputati e neppure quel disilluso moralismo che, pochi decenni prima, aveva spinto un noto deputato e giornalista legato alla tradizione della sinistra storica, Luigi Petruccelli della Gattina, a scrivere un memorabile e sulfureo pamphlet sui suoi colleghi parlamentari dal titolo I moribondi di Palazzo Carignano (1862).

C'è invece, nel romanzo di De Roberto, quella che Rodolfo De Mattei ha definito «la critica di tutto il mondo della politica che trova nel Parlamento la sua espressione esponenziale». Ma, sotto questo profilo si potrebbe ben aggiungere , L'imperio rappresenta la trasposizione, in chiave narrativa, di quella letteratura saggistica di critica al parlamentarismo (o alle sue degenerazioni) e alla democrazia sviluppatasi nei primi decenni dell'Italia postunitaria soprattutto dopo la fine dei governi della destra storica. Questa letteratura ebbe protagonisti notevoli come, per esempio, Marco Minghetti con il suo prezioso (e ancora attuale) saggio su I partiti politici e la loro ingerenza nella politica e nell'amministrazione (1881) o come Pasquale Turiello con la sua densa opera su Governo e governanti in Italia (1883) o, ancora, Gaetano Mosca con il volume Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare (1884) dove è contenuta, sia pure embrionalmente, la prima formulazione della cosiddetta «teoria della classe politica» che è alle origini della moderna scienza politica, italiana e non soltanto.

Fu proprio Gaetano Mosca a introdurre il concetto di «minoranza organizzata» come un gruppo che in qualsiasi epoca storica e in qualsiasi società, indipendentemente dall'esistenza di un particolare sistema politico o giuridico o economico finisce per imporsi e per «governare» la maggioranza disorganizzata. In seguito, poco dopo, il sociologo ed economista Vilfredo Pareto avrebbe, per un verso, ampliato questa intuizione a tutti gli ambiti della società introducendo il concetto di «élite» al posto di quello di «classe politica» e, per un altro verso, avrebbe introdotto una dimensione dinamica parlando della «circolazione delle élites politiche». La nascita dell'élitismo, come teoria politica, è pienamente riconducibile al clima di critica al parlamentarismo e di critica alla democrazia come sistema politico quale si sviluppò nell'ultimo scorcio dell'Italia umbertina e del quale Federico De Roberto fu non solo una espressione ma anche, verrebbe da dire, un cantore. I temi che vengono affrontati nel romanzo L'imperio la scomparsa o l'annullamento dei confini ideologici, la riduzione della politica a mero compromesso, la «perduta moralità parlamentare», la inutilità dei tentativi di «correggere i vizii della Camera», la discussione sulla necessitò del rinnovamento delle classi dirigenti sono tutti funzionali a quel clima.

Ma sono, anche e tuttora, sorprendentemente attuali.

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