Per espugnare Tursi, copiamo da Doria il no a vecchie politiche

(...) di don Gallo ad alcuni paladini del «no» a tutto.
Eppure, Marco Doria ha dato una serie di lezioni, innanzitutto al Pd. Ma anche a chi, nei media, nel Pdl e nei poteri forti genovesi, pensa ancora che il Pd - o, peggio, un certo sistema che ruota attorno a un certo Pd - sia la misura di tutte le cose. Del resto, che Doria fosse uno straordinario candidato, uno davvero valido, è testimoniato dalla prima reazione di Rosi Bindi quando ha saputo che il prof arancione aveva vinto le primarie: «O Gesù mio!».
Ecco, essere altrove rispetto alla Bindi, è comunque un grosso titolo di merito. Così come lo è aver portato conti sulla campagna elettorale che certificano una spesa di meno di ottomila euro. Il che, in un momento di gigantismo economico applicato alla politica, mi sembra un dato estremamente significativo. Non per sparare in continuazione su Musso, come se fosse la Croce Rossa - anche perché Enrico mi sembra già abbastanza alle prese con alcuni dei suoi sponsor meno convinti della sua candidatura rispetto a ieri -, ma vi ricordate nella scorsa campagna elettorale per le comunali le polemiche sul tema: «Se non arrivano i soldi mi ritiro?». Io me le ricordo e da Doria non ho mai sentito nulla di simile. Ma, per l’appunto, forse parliamo del passato.
Da Doria, invece, insieme a tante cose non condivisibili e che farebbero fare un passo indietro a Genova, ho sentito invece alcune cose che mi hanno molto interessato e che mi fanno pensare al futuro. Ad esempio, l’affermazione a Repubblica secondo cui «impegnati nella polemica di partito, i candidati del Pd hanno sbagliato a non ascoltare i cittadini e gli stessi militanti e mi hanno lasciato fare una campagna sui temi concreti» e, ancora, la frase: «Roberta Pinotti ha parlato per metà della campagna del problema delle alleanze con l’Udc».
Così come mi ha molto colpito la freddezza con cui il prof vincitore delle primarie ha gelato l’infreddolito cronista che domenica sera, dopo le 23 e i risultati definitivi, gli chiedeva se avrebbe inserito in giunta le sue due antagoniste e quanti assessori pensava di dare a dipietristi e seguaci di Casini. Doria, flemmatico e gelido, l’ha stroncato con parole che suonavano pressappoco così: «Vede, lei non ha capito niente, lei parla di vecchia politica».
E proprio qui sta il punto. Credo che l’idea di mettere insieme tutti i moderati, dalla Lega ad Oltremare, passando per il Pdl, per Liguria Moderata, per le liste civiche che rischiano di drenare voti per non andare da nessuna parte, e persino per l’Udc e i montezemoliani di Italia Futura (il cui board peraltro corrisponde pressappoco ai potenziali elettori, come si era visto nella sala dei Magazzini del Cotone in occasione dell’arrivo del numero uno della Ferrari e leader della fondazione), sia un’ottima idea. Ma è un’idea che non può passare da vertici di dieci persone in una stanza o su una terrazza alla Ettore Scola, ma deve transitare attraverso un moto di popolo e attraverso una passione forte.
Altrimenti, si finisce a considerare Beppe Pericu come il centro del mondo e Stefano Zara come il vicecentro, con Musso o Pinotti come destinazioni obbligate e l’ex consiglio di amministrazione della municipalizzata delle riparazioni del trasporto pubblico Ami, che non è passata alla storia come esempio di geniale gestione, come cenacolo dei premi Nobel. Piccolo problema: tutto questo mondo dell’area Pericu-Zara, con tanto di cattocomunisti di sostegno, ha fruttato a una candidata umanamente non sgradevole e personalmente potabile come Roberta Pinotti 5902 voti.
Ecco, a Genova, abbiamo passato mesi e mesi a discutere di qualcosa che vale 5902 voti. Cerchiamo almeno di non passarne altrettanti per arrivare a 5903.
Detto questo, l’idea di una grande alleanza moderata è buona e giusta, purché non ci si fermi ai nomi dei salotti buoni, a partire da quello di Lorenzo Cuocolo, rispettabilissimo e molto degno. E si faccia sì che, visto che ad oggi non è un nome di popolo, lo possa diventare domani.
In questo quadro, ho letto e ascoltato con piacere le interviste di Claudio Scajola al Secolo XIX e a Radio Babboleo News, dove l’ex ministro - mandando in brodo di giuggiole il direttore dell’emittente Davide Lentini, che vivrebbe di pane e larghe intese e colleziona uno scoop sul tema dopo l’altro - ipotizza proprio una vasta convergenza. E, al di là dell’amore per un certo politicismo e per la grande alleanza che sembra risentire un po’ troppo dei ragionamenti di una certa borghesia genovese, ho trovato invece due frasi molto interessanti. Soprattutto perché dette da Scajola che, invece, è sempre stato un maestro nella politica parlamentare. Ma, l’uomo sa ascoltare la pancia dei suoi elettori e, in nome della battaglia contro il massimalismo, spiega alcune cose che sottoscrivo appieno.
Primo: «Noi non possiamo più pensare che dalla nostra parte ci possa essere una candidatura secondo la modalità tradizionale dell’espressione del partito». Quindi, disco verde alle primarie, secondo il modello spezzino, chieste anche da Gianni Plinio.
Secondo, molto importante perché viene dall’inventore di Musso, insieme all’allora caporedattore di Repubblica Franco Manzitti: «Io lancio un appello a cercare candidature che uniscono. Ho la preoccupazione che quella di Musso, in questo momento, sia invece una scelta che divide». Perfetto.
Terzo, sposando l’obiezione del Giornale e quasi usando la copia carbone delle nostre parole, Scajola ha spiegato: «I congressi sono capitati in un periodo in cui l’attenzione della gente non è davvero orientata a questi temi». E, ancora, commentando l’importanza delle primarie rispetto a riunioni di partito che interessavano quasi esclusivamente i partecipanti e che hanno risentito anche di un boom di adesioni francamente poco spiegabile rispetto al momento attuale del Pdl, che non pare invogliare migliaia di persone ad iscriversi in massa: «Sorrido dell’enfasi che taluni hanno voluto dare ai congressi provinciali. Sono momenti in cui bisogna guardare oltre l’orizzonte, non pensare che, avendo compilato qualche pagina in più di elenchi, si possa andare molto lontano». Parole sovrapponibili a quelle che aveva usato l’altro giorno al congresso provinciale imperiese: «Non bisogna costringere nessuno a iscriversi, non bisogna stendere lunghi elenchi per dimostrare che si sono portati più iscritti degli altri.

Il partito che dobbiamo costruire è quello delle assemblee aperte, dove uno parla e si vede quante persone convince».
Ecco, poi si può essere tutti contenti di aver fatto il congresso al Bristol. Però, poi, bisogna scegliere un candidato sindaco. Il Giornale l’aveva scritto nei giorni scorsi.
(2 - continua)

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