Gerusalemme - L'Albania era l'unica e ultima opzione. Ora gli esperti di armi chimiche al lavoro in Siria sono alla ricerca di un piano B. Si sono appena rivolti a imprese private e pensano a neutralizzare la parte più pericolosa dell'arsenale di Bashar El Assad a bordo di una nave.
La settimana scorsa il premier albanese Edi Rama, dopo giorni di proteste e manifestazioni a Tirana, ha detto «no» alla proposta di russi e americani di ospitare sul suolo nazionale le operazioni per la distruzione degli agenti chimici smantellati dai depositi siriani. L'Albania era stata scelta non per caso, ma perché nel 2002, con l'aiuto, le tecnologie e i soldi degli americani - che costruirono poco lontano dalla capitale un'installazione apposita ancora esistente - hanno neutralizzato 16 tonnellate di agenti chimici, retaggio di un programma militare dell'era del dittatore Enver Hoxha. Entro la fine di dicembre, gli scienziati dell'Organizzazione per la Proibizione delle armi chimiche, Opac, vincitrice dell'ultimo Nobel per la pace, dovrebbero trasportare fuori dalla Siria oltre mille tonnellate di agenti chimici da distruggere. «Ci mancano le capacità per essere coinvolti in questa operazione», ha detto il premier dell'Albania, Paese membro della Nato e alleato di lunga data degli Stati Uniti. Nessun governo nel frattempo si è fatto avanti. Esperti e politici russi e americani, all'origine dell'accordo che a settembre ha congelato un possibile attacco contro la Siria, sono rimasti senza opzioni immediate.
Pochi giorni fa, l'Opac ha pubblicato sul proprio sito un appello con il quale invita imprese e compagnie private specializzate nel settore a contattare l'organizzazione internazionale se interessate allo smantellamento di una parte degli agenti chimici siriani, per un compenso tra i 35 e 40 milioni di euro. Le imprese dovrebbero essere pronte a cominciare a febbraio. Non sarebbe la prima volta che privati lavorano con governi o eserciti nelle operazioni di smantellamento di un arsenale chimico. In passato, spiega al Giornale Ralf Trapp, specialista in disarmo chimico, compagnie private hanno aiutato gli Stati Uniti a neutralizzare i loro depositi militari di materiale chimico, ma sono entrate in gioco soltanto nella seconda parte del processo, quello di smaltimento dei resti.
L'Opac oggi chiede a privati di distruggere 799 delle 1.300 tonnellate di agenti chimici in arrivo dalla Siria, i due terzi del totale. Il materiale chimico in questione (18 agenti diversi) fa parte del programma militare siriano ma non è usato per le armi, spiega Trapp. Alcuni di questi agenti chimici si possono anche trovare nella comune produzione industriale e, come specifica lo stesso sito dell'Opac, possono essere distrutti in maniera sicura.
Il vero problema, per gli esperti internazionali, sono le restanti 500 tonnellate di materiale: gli agenti più pericolosi come i vari gas nervini. Negli ultimi giorni, i portavoce dell'Opac hanno fatto sapere che, in mancanza di un Paese pronto a ospitarne la distruzione, il materiale potrebbe essere imbarcato in un porto siriano su una nave da guerra straniera a bordo della quale potrebbe essere installato un inceneritore mobile, a disposizione del dipartimento della Difesa americano. Tecnicamente è possibile distruggere gli agenti chimici in alto mare. In scala minore, spiega Trapp, è stato già fatto: per esempio in Giappone, a largo del porto di Kanda, tra il 2004 e il 2006, o dagli americani nell'atollo Johnston, nell'Oceano Pacifico, sul quale era stata costruita un'installazione apposita, non più funzionante. Sicuramente, e su questo concordano tutti gli specialisti, è impossibile procedere con le operazioni di distruzione in Siria, nel mezzo di una guerra. «Meglio fare un passo alla volta e trasportare prima di tutto fuori dal Paese il materiale - dice Trapp - in modo che non possa più essere utilizzato», come accaduto il 21 agosto a Damasco, negli attacchi che, con la morte di centinaia di civili, hanno indignato la comunità internazionale e portato alla reazione dura degli Stati Uniti, pronti ad attaccare il regime di Assad con l'aiuto della Francia.
Se gli ispettori internazionali stanno progressivamente smantellando l'arsenale chimico di Assad, la guerra e le violenze portate avanti con armi
convenzionali non si fermano. Sono almeno 40, secondo attivisti siriani, i morti nei bombardamenti del regime che hanno colpito ieri la città settentrionale di Aleppo, dove da mesi si combatte senza sosta.Twitter: @rollascolari
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