La foto che segna l'inizio di «Ginevra 2», la conferenza di pace di Montreux, non ha i colori del cristallo o del velluto delle sale in cui i diplomatici di tutto il mondo si riuniscono nell'impossibile compito di mettere d'accordo la ferocia genocida dell'alawita Assad con l'impeto islamista dei rivoltosi sunniti, ormai in buona parte qaedisti. La foto senza orpelli di questa conferenza ha il volto di un bambino disperato: è stata scattata un giorno prima dell'inizio della conferenza, mostra un bombardamento su Aleppo. Fra i detriti fumanti un uomo cerca di sfuggire alla morte correndo con un bimbo in braccio. Il bambino piange dalla paura, l'uomo vorrebbe salvarlo, non sappiamo che cosa ne sia stato; ma anche se quel bambino ce l'ha fatta, è stato segnato per sempre dagli scoppi, dal terrore, dalla perdita della sua vita quotidiana.
Ci sono orrori che chiedono una conclusione immediata: uno di questi è la strage dei bambini siriani, su cui in una paradossale nuvola di irrealtà aleggiano i sorrisi diplomatici di Obama e Putin, i burattinai che sanno benissimo che non si otterrà niente, e sono di fatto pronti ad accettare, come del resto anche gli europei, che i bambini seguitino a morire. Così sarà se Assad resta al suo posto e se dall'altra parte non si disarmano i salafiti. Nell'agosto scorso le immagini terribili dei corpi di mille bambini avvolti nel sudario dopo che Assad aveva usato il gas nell'area di Al Ghouta scossero il mondo, e Obama promise di intervenire. Con l'accordo con Putin, un accordo ha fermato il sarin, ma permette che le uccisioni continuino. È abnorme: in tre anni su numero di 113.735 uccisi, 11.420 sono bambini. Il dieci per cento. Il maggior numero, 2.233, è stato ucciso ad Aleppo, ma il posto peggiore è Daraa, vicino alle alture del Golan e sul confine della Giordania) dove un bambino su 400 è stato ucciso. Si sospetta che le cifre minori per i bambini uccisi nelle zone di Latakia e Tartus siano dovute al fatto che i numeri vengono forniti dai ribelli, in possesso dell'area e forse responsabili di più delitti di quelli denunciati.
Il numero altissimo di bambini uccisi, in gran parte a causa di esplosioni o per essere stati diretto obiettivo degli snipers o di inaudite torture, fa pensare che la strage degli innocenti non sia una tragica frangia della strage di civili, ma una scelta programmata dalle forze di Assad e anche dai ribelli. Niente è più distruttivo per ciascuna delle forze in campo del vedere la sofferenza e la morte dei propri figli. Ed essa è registrata nei video che mostrano bambini affamati che si nascondono, mentre le bombe esplodono su di loro e gli spari li rincorrono. I bambini raccontano che i loro compagni hanno avuto la testa e le membra strappate dal fuoco, qualcuno fa l'eroe, molti piangono. Ci sono bambini buttati come stracci senza più casa e cibo, senza genitori, nel migliore dei casi camminano verso i confini per diventare profughi destinati a fame e malattie.
All'inizio della guerra nella cittadina di Jiza, presso Daraa, un bambino fu rapito dalle forze di Assad. Si chiamava Hamza Ali al Khateeb, aveva 13 anni. Era il 29 aprile 2011. Dopo settimane il suo corpo fu restituito torturato come non si immagina che tortura possa essere, le membra strappate, il corpo perforato. Una manifestazione di piazza gridò: «Siamo tutti Hamza».
La folla inalberava una placida foto del bambino quando era un figlio grassottello della sua mamma. Nel 2014 vorremmo ripeterlo: siamo tutti Hamza. Allora non aiutò. Riproviamoci.Montreux parli: prima di tutto i bambini.
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