America ostaggio degli svitatiil commento 2

di Gabriele Villa

Sotto scacco, in ginocchio. Nel terrore. L'America dei grandi numeri e delle grandi cose finisce ancora una volta alle corde per colpa di uno spietato, beffardo autogol di assurda violenza. L'America che pensa in grande e arriva in tutto il mondo, non riesce nemmeno a girare l'angolo della serenità. Non può permettersi nemmeno più il lusso di guardare al vicino di casa, al garzone della drogheria, all'autista dello scuolabus senza temere che questi, in una mattina di ordinaria follia, tiri fuori un fucile, una granata, una pistola, acquistata con la stessa facilità con cui si compra un gelato, e faccia una strage. L'America che è pronta ad affrontare adeguatamente, almeno così sostiene, nuovi e sanguinosi attacchi terroristici, continua a soccombere, impotente e frastornata, ai «disadattati», in verità un filino «disturbati», che girano indisturbati sulle strade degli States con la faccia da bonaccioni e l'aspetto mite. L'ultimo della lista. L'ultimo che ha firmato il suo personalissimo, agghiacciante bollettino di guerra è questo Aaron Alexis, 34 anni, nato a Brooklyn e cresciuto in Texas, che grazie al recente incarico ottenuto come contractor civile poteva entrare e uscire con un regolare pass nell'edificio 197 del Navy Yard di Washington, poco lontano dalla Casa Bianca, e quindi fare quel che ha fatto appena gli si è accesa la scintilla omicida. Secondo quanto è emerso ieri Aaron Alexis sarebbe stato, è questo fatto aggiunge sconcerto allo sconcerto, tra i soccorritori volontari dopo l'attacco terroristico alle Torri Gemelle dell'11 Settembre 2001 e dopo quell'atto «eroico» avrebbe cominciato a soffrire di disturbi da stress post-traumatico. È ciò che avrebbe dichiarato suo padre nel 2004, quando Alexis ebbe modo già di mostrare la sua predisposizione, per aver partecipato, da protagonista, ad una sparatoria. Al Dipartimento di polizia di Seattle, il padre disse che suo figlio soffriva di problemi di rabbia causati da stress. Poco importa se ieri altre fonti hanno riferito ai colleghi statunitensi che Alexis era ossessionato dai videogiochi violenti. Poco importa perché molti, forse tutti i suoi conoscenti, descrivono Aaron come «un uomo giovane e gentile che pregava in un tempio buddista e aveva imparato a parlare tailandese». Il ritratto perfetto dell'ennesimo insospettabile «disturbato» che girava indisturbato. «Un atto di codardia», lo ha definito il presidente Obama commentando con tristezza e dolore la strage. Già, un atto di codardia, ma, come egli stesso ha ammesso, un altro spietato, beffardo autogol di violenza. «Ancora una volta ci troviamo a dover affrontare una strage di americani, feriti e uccisi da armi da fuoco in casa nostra.

Sono stati uccisi patrioti che erano al lavoro per difendere la nostra nazione e che non si aspettavamo di essere in pericolo nei loro uffici». Eppure l'America che tutto prevede, pianifica e organizza ancora una volta ha perso la partita. La solita imprevedibile, ma oramai tristemente ripetitiva, partita contro se stessa, le sue debolezze, le sue ingenuità.

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