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Hanno la pena di morte Da loro niente lezioni

Hanno la pena di morte Da loro niente lezioni

Se la giustizia è giusta, è giusta ovunque e ha gli stessi presupposti e garanzie in uno Stato come in un altro. L'accusa è d'omicidio, non colposo ma intenzionale. I due marò, Salvatore Girone e Massimiliano La Torre, hanno ucciso due pescatori e, con tutte le giustificazioni e le attenuanti, meritano di essere condannati se la loro responsabilità è dimostrata. La sentenza per il reato con le prove esibite e confermate dovrebbe essere la stessa in Italia e in India.

Sappiamo oggi che il caso è così grave che è stato necessario da parte del governo indiano specificare che «non è di quelli che comporta in India l'applicazione della pena capitale», che il nostro codice penale non prevede. È qui è la prima differenza. Nessuno ne aveva parlato, nessuno aveva considerato che il processo in India potesse comportare una pena così grande. Se questa è la situazione, come si vede nelle immagini oleografiche del nostro governo che ha così mal condotto la vicenda, il Presidente del Consiglio Monti, ghignante, e il ministro degli Esteri Terzi, spaesato, hanno più volte ricevuto ufficialmente e solennemente stretto le mani a due assassini (imputati davanti a tribunale di un reato indiscutibilmente grave, di omicidio), congratulandosi con loro e trattandoli come eroi (nell'evidente convinzione della loro innocenza).

Difficile equivocare su una questione così precisa, su una imputazione indiscutibile, salvo non partire dalla considerazione che il tribunale indiano non ha condotto un'inchiesta regolare e non persegue una giustizia giusta. La soluzione semplice (ma certamente già praticabile da un governo consapevole) è che un paese civile, indipendentemente dalla gravità del reato, non può far rischiare a due cittadini (anche se colpevoli, e anche, e soprattutto, se soldati) la pena di morte che non sarebbe toccata loro in Italia. Una differenza sostanziale. I diversi codici penali e il diverso rischio impongono di processare i marò in Italia non esponendoli a una giustizia, ingiusta rispetto ai principi da noi stabiliti a partire da Cesare Beccaria, che prevede la pena di morte. Oggi quest'eventualità viene esclusa, con formali garanzie governative e precisazioni giuridiche su un tipo di reato, facendo capire il peso della differenza e la bontà delle nostre ragioni e della nostra Costituzione, anche davanti a un reato conclamato. E invece, in totale confusione istituzionale, abbiamo consegnato due cittadini (soldati) italiani a un regime penalmente incivile.

La vita, anche di fronte alla legge, in nome di una vera giustizia, è un bene non negoziabile. Monti, non uomo di Stato, sogghigna davanti ai due eroi/assassini e li manda a morire in India. Perché, dopo i tanti reciprochi pasticci, dovremmo fidarci del governo indiano che garantisce cose che non può garantire? E che (anche in India) rappresenterebbero una lesione dell'autonomia della magistratura? Emblematica, ieri, la risposta del ministro della Giustizia indiano Ashwani Kumar al ministro degli Esteri Salman Khurshid: «Come può il potere esecutivo fornire garanzie sulla sentenza di un tribunale?».

Come volevasi dimostrare.

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