di Carlo Lottieri
G li imbrogli che, in Corea del Sud, hanno costretto ad annullare le prove necessarie per accedere agli studi universitari in America mostrano come il mondo sia assai più complesso di quanto taluni credono. E non solo perché un certo tipo di disinvoltura non è affatto, di tutta evidenza, una prerogativa italiana.
Ben più importante è rilevare che l'Occidente resta il centro del mondo: specialmente in taluni ambiti. Larga parte del continente asiatico sta crescendo a notevole velocità, conquistando mercati anche in settori ad alta tecnologia, ed egualmente vi sono settori nei quali le società di tradizione europea mantengono una posizione egemone. Non esiste, in particolare, un sistema universitario che possa competere con quello americano: e questo spiega perché ci sono decine di migliaia di studenti, in Asia e altrove, letteralmente pronti a fare «carte false» pur di entrare a Harvard e Princeton, ma anche in università assai meno note.
I vantaggi che la società statunitense ricava dal primato detenuto in ambito accademico sono enormi, poiché nei suoi istituti di ricerca affluisce una quota assai alta delle migliori intelligenze del pianeta, che contribuiscono a fare degli Usa il cuore della scienza e della cultura. Una parte di loro torna poi nel Paese d'origine al termine degli studi, ma molti altri fanno di quel Paese la loro nuova patria.
C'è una lezione che dovremmo saper ricavare da tutto ciò. Appare infatti un comportamento del tutto autolesionistico quello di chi, come l'Italia, continua a difendere un sistema universitario quasi interamente statale. Da noi gli atenei privati sono pochi e sovvenzionati: per questo motivo manca concorrenza e vi sono pochi stimoli all'innovazione. Il risultato è che la nostra accademia - salvo qualche eccezione - permane assai provinciale, attraendo dall'estero pochi studenti e ancor meno professori.
La questione è comunque più generale, se si considera che il 2012 è stato - dopo vari decenni - il primo anno che ha visto il numero degli italiani emigrati superare quello di quanti sono immigrati da noi. Ormai non siamo più attraenti per quanti si trovano nel Terzo Mondo, e quasi obblighiamo molti tra i nostri giovani migliori a partire.
L'università, in questo senso, è solo un riflesso di quanto è avvenuto nell'intera economia: sempre più burocratizzata e sempre meno in grado di competere, a causa di apparati statali tanto elefantiaci quanto costosi. Forse siamo ancora in tempo per cambiare, ma per farlo sono necessarie scelte drastiche a favore della libertà d'iniziativa e del mercato.
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