Condannato a morte nel 1968 e ancora in attesa di conoscere la propria sorte, viene rilasciato dopo 48 anni di carcere. È una storia che sembra tratta da un feuilleton ottocentesco, quella di Iwao Hakamada, ex pugile giapponese che detiene un primato assai poco invidiabile: è infatti l'uomo detenuto da più tempo nel braccio della morte.
Condannato alla pena capitale quarantasei anni fa per omicidio multiplo, Hakamada, che oggi ha 78 anni, vede riaprirsi il proprio processo grazie a nuovi test del Dna, che potrebbero dimostrarne l'innocenza. L'ex pugile, che si è sempre dichiarato innocente, soffre da anni di infermità mentale, era stato condannato alla pena di morte per aver ucciso il proprietario di una fabbrica di miso insieme alla moglie e ai due figli.
La sua pena non è ancora stata eseguita a causa delle lentezze dei processi di appello, che si sono succeduti prima nel 1995 (con esito negativo per il ricorso di Hakamada) e poi quest'anno (stavolta invece risoltosi positivamente per il condannato). Il tribunale ha deciso di accogliere la richiesta di riapertura del processo in quanto i nuovi elementi ottenuti grazie al riesame del Dna proverebbero che gli investigatori avrebbero potuto contraffarre le prove al tempo del primo processo.
La notizia della riapertura del processo a Hakamada riapre il dibattito sulle modalità con cui vengono comminate le condanne a morte nel paese del Sol Levante: Hakamada aveva infatti confessato nel corso di un interrogatorio a
porte chiuse, secondo una consuetudine che è tanto diffusa quanto contestata.Ora la corte distrettuale di Shizuoka, accettando la revisione del processo di Hakamada, ne ha disposto l'immediata scarcerazione.
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