Così la Storia cambierà il mappamondo del ventunesimo secolo

Per gli esperti del New York Times è in arrivo una rivoluzione nel Medio e nell'Estremo Oriente

Le carte geografiche, un po' come le fotografie dei nostri volti che registrano inesorabilmente i cambiamenti nell'arco dei decenni di vita che ci sono concessi, sono dei fedeli riflessi del tempo che passa. Gli atlanti che maneggiavamo quando eravamo scolaretti sono ormai buoni per il museo, e non pochi degli Stati e dei territori che vi figuravano, sagome colorate destinate a imprimersi nella memoria come se fossero immodificabili, sono oggi fantasmi del passato, scomparsi nel turbine degli anni come i processi storici che li avevano prodotti. Cos'è stato di quelle immense macchie rosa o violette che ancora cinquant'anni fa rappresentavano i vasti imperi d'oltremare britannico e francese? Cancellate dalla decolonizzazione, sbriciolate dal sorgere di innumerevoli nuovi Stati africani e asiatici, probabilmente destinati a vita ancor più effimera. E chi si ricorderà tra non molto tempo che fossero esistiti Paesi come la Germania Orientale, la Cecoslovacchia o la Jugoslavia, collassati insieme con il comunismo che pareva eterno? Per non dire di quell'Unione Sovietica che si estendeva su un settimo delle terre emerse: oggi il nuovo zar Vladimir Putin s'impegna per restituire alla Russia il perduto ruolo di potenza mondiale, ma pare difficile che riuscirà a cancellare la fresca indipendenza di tante ex Repubbliche dell'URSS.
Sic transit gloria mundi, è il caso di dire. Ogni tanto, a beneficio di quanti dimenticano il nostro passeggero destino, esperti di geopolitica si dilettano a proporre previsioni di cambiamento del mappamondo, a provare a disegnarlo come secondo loro apparirà tra dieci o vent'anni. Lo hanno fatto in questi giorni Frank Jacobs e Parag Khanna, opinionisti del New York Times. E ne esce un mondo ulteriormente frammentato, come se non bastasse quel probabile massimo storico di oltre 200 Stati indipendenti che oggi affollano il planisfero. Nuovi confini che peseranno, secondo gli autori dello studio, soprattutto per chi si trova a vivere in Africa o in Asia, dove un passaporto è spesso un sogno inattingibile.
Dove potranno mai fuggire i «cittadini» di un ipotetico Azawad, l'autoproclamato Stato ultraislamico nel nord dell'attuale Mali dove le donne non velate vengono già frustate dai loro nuovi padroni? E che sarà degli abitanti dei nuovi Stati che sorgeranno secondo Jacobs e Khanna dalla divisione del Congo (l'ex Zaire del lucido pazzo Mobutu, il più sfacciato ladrone dell'Africa postcoloniale) benedetto e maledetto al tempo stesso dall'abbondante disponibilità di diamanti e materie prime preziosissime? Quale sarà il destino della Somalia, da vent'anni spezzata in tronconi di fatto indipendenti i cui reggitori approfittano dell'assoluta mancanza di un vero potere centrale a Mogadiscio?
Davvero, come prevedono i due esperti, la Russia finirà per perdere a beneficio di una Cina rampante le sue remote province orientali? Vedremo dopo il non impossibile collasso del baluardo stalinista nel Nord del Paese la riunificazione delle due Coree, a imitazione di quanto è già accaduto (sia pure con modalità sempre diverse) in Germania, Vietnam e Yemen? Il ritiro americano dall'Afghanistan e dall'Iraq avvierà la rivoluzione delle mappe del Medio Oriente, disegnate dalle potenze europee all'indomani della Prima guerra mondiale? Sorgeranno bizzarri Paesi denominati Baluchistan e Pashtunistan? Nascerà dopo secoli di tentativi falliti un Kurdistan indipendente, si assisterà alla frattura della Siria per consentire ai fedeli di Assad di conservare il loro potere?
Neppure la vecchia Europa, già sconvolta dal crollo del reaganiano «impero del male», sarebbe risparmiata da nuovi ritocchi secondo gli esperti americani: non pare improbabile (a loro) lo spuntare di una Scozia indipendente, e la mille volte annunciata fine del Belgio, lo Stato più artificiale dell'Europa occidentale, potrebbe produrre un'antistorica separazione tra Fiandre e Vallonia, con la città di Bruxelles forse destinata a un'autonomia che ne farebbe ancor più di oggi la capitale di un'Europa «unita» (sorvoliamo). Jacobs e Khanna sembrano dimenticare la Spagna, che tiene insieme con crescente fatica partner recalcitranti come la Catalogna e i Paesi Baschi.

Non osano dire di Cipro, forse anche loro rassegnati all'inutilità di tante parole che dovrebbero finalmente cancellare la «linea verde» che divide in due l'isola dopo l'invasione turca del 1974. Tacciono anche del futuro della nostra Italia, oggetto dei vaniloqui leghisti e forse prossimamente delle più concrete pressioni della finanza internazionale: carità di patria, si diceva una volta.

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