La Tunisia è sull'orlo del baratro dopo l'esecuzione di Chokri Belaid, un simbolo laico odiato dagli estremisti islamici, ma non è detto che siano stati loro ad armare l'assassino. Anche se i salafiti lo avevano minacciato e i duri e puri dell'Islam hanno inneggiato su Facebook alla morte del kufar, il miscredente. Lo stesso genere di pagine in rete dove si elogiano i «martiri» di Al Qaida e vengono immortalati nei comizi dei Partigiani della Sharia terroristi condannati in Italia, ma liberati dalle galere tunisine con la primavera araba.
Oggi il funerale di Chokri rischia di trasformarsi in una grande manifestazione di piazza contro il governo guidato dal partito islamico Ennahda accusato di aver tollerato il fiorire degli estremisti salafiti. La parlamentare del Pdl, Souad Sbai, denuncia «la volontà di far sprofondare il Paese in una guerra civile». Dopo l'assassinio eccellente, il primo ministro Hamdi Jebal, che governa con due formazioni laiche, aveva annunciato la dissoluzione dell'esecutivo per sostituirlo con dei tecnici. L'unico dato certo nella morte di Chokri è che il ministero dell'Interno era al corrente delle minacce di morte nei suoi confronti e non ha fatto nulla per proteggerlo.
Ennahda, lo stesso partito di Jebal, si è però spaccato dicendo no al suo premier. Ieri Abdelhamid Jelassi, vicepresidente del movimento islamico, ha chiaramente sostenuto che «in questo momento ci vuole un governo politico» in vista delle cruciali elezioni previste a giugno. Jelassi è vicino al leader di Ennahda, Rached Gannouchi, e di fatto ha sconfessato il primo ministro.
Ieri sono continuati gli scontri a Tunisi e in diverse città del Paese. Nel mirino le sedi governative e del partito islamico di maggioranza. Per oggi il più forte sindacato nazionale ha proclamato lo sciopero generale in segno di protesta per la morte di Chokri, che non aveva mai preso tanti voti, ma era un simbolo della sinistra laica.
La polizia ha arrestato il suo autista, Zied Tahri, militante del partito della vittima, che lo aspettava in strada quando è scattato l'agguato. Una testimone sostiene che si è intrattenuto con uno dei membri del commando. Altre fonti, probabilmente della sicurezza, fanno trapelare che l'autista, poco prima dell'agguato, ha ricevuto una telefonata da un importante esponente del partito fondato lo scorso anno da Beji Caid Essebsi, un nostalgico del vecchio regime di Ben Alì.
In ogni caso la vittima era stata minacciata di morte in un video girato nel 2012 a Zarzis, roccaforte dei salafiti. Dopo l'assassinio frasi che invitano a non esprimere le condoglianze per il «capofila dei miscredenti» sono apparse sui siti degli estremisti islamici. Lo stesso genere di siti, come quello di Ansar al Sharia, che onora i «martiri» di Al Qaida. In Tunisia i partigiani della legge islamica sono guidati dall'imam Abu Iyadh, latitante dopo gli attacchi alle ambasciate americana e francese a Tunisi dello scorso settembre. Sulla pagina Facebook del movimento salafita è stato immortalato ad un comizio con altri due barbuti al suo fianco. Uno è Semi Ben Khemais Essid e l'altro Mahdi Kammoun, ambedue condannati per terrorismo in Italia. Il primo, referente del Centro culturale islamico a Milano, rappresentava Al Qaida nel nostro Paese.
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