Accordo a Ginevra, spari in Ucraina

L’intesa raggiunta tra Usa, Ue, Russia e Kiev prevede riforme costituzionali e il disarmo delle milizie

«Spero molto sentitamente di non dover mandare truppe in Ucraina, noi confidiamo in una soluzione di compromesso». È un Putin in avventuroso equilibrio tra le aperte minacce (sostiene che il via libera ottenuto in marzo dal suo Parlamento gli dà «il diritto» di invadere il Paese vicino «per tutelare i diritti dei russofoni») e le dichiarazioni di disponibilità quello che ieri - nel giorno dei colloqui a quattro di Ginevra sulla crisi ucraina - ha risposto alle domande dei giornalisti in una maratona televisiva. Il presidente russo ha dedicato molto tempo all'Ucraina, alternando bastone e carota secondo un copione ormai familiare. E ha anche espresso la speranza che il prossimo semestre Ue a guida italiana «dia nuovo impulso ai rapporti con la Russia: noi teniamo in gran conto le nostre relazioni con l'Italia».

Mentre Putin denunciava «il grave crimine» dell'uso della forza contro i filorussi nell'Est ucraino giungevano notizie che spingevano il presidente russo ad accusare Kiev di «spingere il Paese verso l'abisso»: nella notte un attacco condotto da circa 300 persone armate contro la base della Guardia nazionale ucraina nella città di Mariupol sul mar Nero era stato respinto dai militari, con un bilancio di tre morti e 13 feriti fra gli aggressori. Difficile però parlare in questo caso di «rivolta popolare» in questo come in altri casi in cui uomini ben armati e ben addestrati hanno attaccato obiettivi istituzionali ucraini in nome della causa russofona nell'est del Paese: eppure Putin ha respinto come «sciocchezze» le denunce che indicano il suo governo dietro certe iniziative di forza in Ucraina. Alle quali va aggiunta l'irruzione compiuta ieri pomeriggio in un ripetitore radio-televisivo a Slaviansk, la città dell'Ucraina orientale da sabato scorso di fatto nelle mani dei secessionisti: qui miliziani filo-russi hanno fato oscurare il segnale della televisione nazionale per tutta l'area circostante, che comprende anche Kramatorsk, Horlivka e Makiivka, altre località controllate dagli insorti nella regione russofona di Donetsk, obbligando gli operatori a trasmettere soltanto i canali russi. Nel tentativo di ostacolare l'infiltrazione già ampiamente provata di destabilizzatori professionali russi in Ucraina, ieri Kiev ha deciso di vietare l'ingresso nel Paese di cittadini maschi russi di età compresa fra i 16 e i 60 anni, suscitando le immancabili proteste del Cremlino.

In questo contesto che richiama l'invasione «sotto copertura» avvenuta in Crimea, l'imperturbabile Putin ha detto ai giornalisti di attribuire «grande importanza» ai colloqui di Ginevra. Dove ieri le diplomazie di Stati Uniti, Russia, Ucraina e Ue hanno prodotto un comunicato condiviso che invita a un dialogo tra le parti ed enuncia quelli che per ora sono solo principii: riforma costituzionale, disarmo di tutte le formazioni armate, liberazione di tutti gli edifici occupati illegalmente, scarcerazione e amnistia degli arrestati, tranne quelli accusati di crimini gravi.

Putin ha trovato anche il tempo di rispondere in diretta anche a una domanda posta da Ed Snowden, ricercato dagli Stati Uniti per aver rivelato al mondo innumerevoli segreti di Stato e da mesi rifugiato in Russia. Snowden ha chiesto al presidente se «la Russia intercetta, immagazzina e analizza dati sulle conversazioni di milioni di persone» e se «il presidente considera giusto e giustificato questo controllo massiccio».

Putin non s'è scomposto: ha ricordato a Snowden come entrambi siano stati agenti segreti e ha fornito una «risposta professionale»: in Russia «l'intercettazione massiccia come in America è impossibile, perché i nostri servizi sono controllati dalla legge». Parola di 007.

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