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E stasera ci gustiamo la vendetta contro Sarkò

Imperdonabile la sua risatina contro l’Italia: per questo stasera ci gusteremo la vendetta

E stasera ci gustiamo la vendetta contro Sarkò

Quando è gratuita e si sottomette a una scelta democratica, la vendetta è una forma di giu­stizia. Spero che Sarkozy le prenda da Hol­lande perché non ho mai accettato la violazione de­risoria dell'amicizia con l'Italia espressa con una mimica plateale in faccia al mondo (e a me), una re­cita di grana grossa, sprezzan­te, offensiva, che solo la debo­lezza politica del governo, di Berlusconi, del Quirinale, e la sciatta compiacenza delle op­posizioni ha lasciato senza se­rie conseguenze diplomati­che, civili e culturali. Tutte le gaffe del mio governo non sono paragonabili a quel­l’at­to calcolato di viltà e di cattiveria politica e perso­nale. Un comportamento direttoriale da padrone dell'Europa, un gesto di falso paternalismo, un col­po sotto la cintola indegno di un uomo di Stato. Poi c’è la delusione politica. L’esuberanza di Sarkozy poteva essere una risorsa e perfino una riforma dell'ingessa­tura pomposa della Quinta Re­pubblica gaullista e mitterrandia­na. Si era dapprima espressa in un’ambizione onorata con tempi­smo, calcolo sapiente, idee e pro­grammi. Sarkozy aveva messo in opera un capolavoro politico di­staccandosi dalla presidenza de­clinante di Chirac, isolato e impo­polare dopo l­a cavalcata antiame­ricana sull’Irak e una sequela di er­rori domestici presuntuosi, e lo aveva fatto al momento giusto e su una linea giusta. Fu un grande can­didato, la sua lezione sulla via al potere non poteva essere più elo­quente. Rischiò, fu coraggioso, puntò tutte le sue carte su una vi­sione della Francia alternativa a quella delle vecchie barbe di regi­me, e spiazzò la sinistra socialista con l’apertura mentale, e una po­tente ricapitolazione non faziosa della storia del Paese, delle sue ra­dici, delle sue diverse eredità. Ma alla fine erano discorsi, glie­li scriveva Henri Guaino, e Sarkozy li capiva con la testa ma non li rispettava con il suo insop­portabile carattere. Ed è il caratte­re che in politica decide, lo hanno detto in tanti compreso Mitter­rand, non l'intelligenza solitaria. Erano consigli politici, una mate­ria effimera senza un Principe ca­pace di assimilarli, di farli suoi, di incorporarli quando li apprezza e li sa giudicare nel loro vero valore. L’appello a lavorare a guadagnare a investire a scrollarsi di dosso la cultura protettiva venuta dagli an­ni Sessanta, a essere un po’ più americani in Europa, a farsi da sé un proprio mondo individuale in­dipendente dalle tutele sindacali e ideologiche, compresa la ricon­siderazione del posto della religio­ne nella vita pubblica, era affasci­nante e spericolato, portava con sé una rete di significati politici e civili di autentica novità. Ma si è ri­velato un'illusione o un inganno. Tutto è finito con un’impresina ne­ocoloniale sanguinaria, la oscena guerra di Libia scattata su sugge­stione degli intellettuali della rive gauche , condotta con l'occhio alla campagna elettorale imminente, nutrita da interessi strategici anti­italiani. Tutto è finito con i cantie­ri riformatori mai aperti oppure aperti e spencolati sul vuoto della promessa mancata. Ma lo stile, ahimè, lo stile che è l’uomo.Berlusconi con tuttii suoi errori balzani, mattocchi, ha sem­pr­e espresso uno stile libero di uo­mo privato, sapevamo chi fosse in ogni istante e potevamo valutar­lo, ma Sarkozy è stato un iperattivi­sta della dissimulazione, un foco­so mascheratore del suo sé, non perché era amico dei ricchi (la sua buona boutade contro Hollande è stata quella: «Voi volete eliminare i ricchi, io voglio eliminare i pove­ri »). È che si comportava da ulti­mo venuto, voleva una destra dé­complexé e si comportava da pic­colo complessato della scala so­ciale, si vedeva sempre lo sforzo, e una istituzione bisognosa di rifor­ma come la presidenza francese non arrivava a sopportare, per la sua natura politica, la degradazio­ne di una corporeità ridicola, di un nanismo delle abitudini e dei retropensieri sempre in bella evi­denza, una viziosità implicita e su­bliminale dell'atto civile. Hollande meriterebbe di perde­re come il suo avversario, e per tan­te ragioni. Ma almeno ha levato la sua voce non autorevole di candi­dato verso il troppo pieno e il trop­po sodo delle politiche di austeri­tà senza crescita economica della signora Merkel, e ha ai miei occhi il vantaggio di non essere il presi­dente in carica che deve perdere per ragioni elementari di giustizia o di contrappasso. I due in televi­sione sono stati mediocri e compe­tenti, spesso la competenza non è in politica altro che una veste rigi­da della mediocrità. Squallidi poi quando si sono rinfacciati Berlu­sconi e Strauss- Kahn. Soprattutto Strauss-Kahn, che sarebbe stato presidente al posto di entrambi se solo non fosse stato Strauss-Kahn, cioè il contrario di Berlusco­ni, un fissato del sesso predatorio e un abile dissimulatore della sua vita privata, come quasi tutti i poli­tici francesi, invece che un Re del pettegolezzo cortigiano, della gen­tilezza verso le donne, della lealtà nella sua forma burlesque, impre­sariale, di spettacolo. Non sapevo della sua vita priva­ta, ha detto Hollande con la prima bugia del suo probabile quinquen­nato all’Eliseo, e voi lo avete nomi­nato ad alte funzioni.

Nemmeno io sapevo della sua vita privata, ha obiettato il Pinocchietto che spe­ro si rivoltoli da stasera nella polve­re.

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