Era tutto già scritto. O perlomeno detto. Per capirlo basta riascoltarsi il discorso sullo «stato della nazione» pronunciato da Vladimir Putin davanti alla Duma il 13 dicembre scorso. Quel giorno, prima di affrontare la questione Ucraina, il presidente illustra ai deputati la sua visione del mondo e individua in Cina, Stati Uniti ed Europa i principali concorrenti della Russia. In quel risiko Zar Vladimir non vede solo una competizione fra nazioni, ma una sfida tra «grandi unità geopolitiche». Così. A seguire, il presidente illustra il progetto per la creazione, entro il 2015, dell'«Unione Economica dell'Eurasia», una sorta di riedizione dell'Unione Sovietica destinata a stringere in un patto di ferro Russia, Ucraina, Bielorussia, Armenia, Kazakhstan e Kirghizistan. Per fondare quel nuovo impero da 170 milioni di anime vasto 5 volte l'Unione Europea Putin non può assolutamente rinunciare all'Ucraina. Ha bisogno dei suoi 46 milioni di abitanti e delle sue immense pianure per garantire massa critica al progetto. Ha bisogno della sua economia per garantire interscambi omogenei alla pari con gli altri paesi membri. E soprattutto non ha nessuna intenzione di regalare quella «massa critica» a un'Europa considerata alleata degli Stati Uniti dal punto di vista politico-strategico e un insidioso concorrente sul piano economico-commerciale.
Se non si tiene presente quest'ambizioso disegno di potenza, in cui la nostalgia per il passato dell'Unione Sovietica si mescola con il sogno di una Terza Roma capace di unificare i cattolici ucraini e gli ortodossi russi tornando a far sentire la propria influenza dal Mare del Nord all'Oceano Indiano, non si capirà mai perché Putin sia cosi caparbiamente attaccato all'Ucraina. E perché sia pronto a tutto per evitare che entri nella sfera d'influenza dell'Unione Europea e, di riflesso, in quella degli Stati Uniti. Gli indispensabili corollari di un progetto geopolitico volto a garantire uno scontro alla pari con Cina, Stati Uniti ed Europa sono i fattori economici e il controllo delle rotte e dei commerci. Vendere il gas all'Unione Europea è sicuramente vantaggioso, ma nella visione di Putin è immensamente più profittevole cederlo -anche a prezzi di favore- all'Ucraina e farne il combustibile per alimentare il progetto di sviluppo della grande Russia Eurasiatica. Non a caso per convincere il presidente ucraino Viktor Yanukovych ad abbandonare il patto di libero scambio proposto da Bruxelles, Putin inizialmente agita non il bastone, ma la carota. La proposta non rifiutabile dello Zar comprende in quel caso un significativo sconto sulle forniture di gas unito a progetti di cooperazione industriale e crediti con bassissimi tassi d'interesse. E così nonostante i crediti russi sulle forniture superino a dicembre il miliardo e mezzo di dollari Putin offre a Yanukovych uno sconto di circa un terzo rispetto ai prezzi del gas praticati all'Europa.
L'altro corollario indispensabile riguarda le rotte commerciali. Se Kirghizistan e Kazakhstan sono fondamentali per i giochi sul quadrante orientale, gli sbocchi della Crimea sul mar Nero sono indispensabili per mantenere un pieno monopolio sulle direttrici marittime con Turchia, Georgia, Romania e Bulgaria. Per Mosca è assolutamente impensabile perdere non solo il porto di Sebastopoli, sede della flotta del Mar nero, ma anche quelli di Yalta e Odessa. Lasciarli in mano a un'Ucraina amica di Bruxelles e Washington equivale a rinunciare all'autostrada navale su cui corrono incrociatori e fregate diretti nel Mediterraneo.
Significa perdere il collegamento prioritario con la base navale di Tartus fondamentale per garantire la sopravvivenza della Siria di Bashar Assad e continuare a influenzare il Medio Oriente. Tutte ottime ragioni per cui -agli occhi di Zar Putin- l'Ucraina e la Crimea valgono bene una guerra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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