Gerusalemme - Tre giorni lontano dai numeri sfavorevoli, dalle critiche, dalle proteste della piazza arrabbiata. Il presidente francese François Hollande è arrivato ieri in Israele, accolto, come aveva già anticipato il suo ospite, il premier Benjamin Netanyahu, con il «tappeto rosso». «Il mio amico François»: così si è rivolto a lui durante la cerimonia di benvenuto all'aeroporto di Tel Aviv il primo ministro.
È lontano da Parigi che il presidente Hollande respira un po' di quella popolarità perduta in casa. Impietosi, giornali e televisioni francesi ricordano come il leader sia il Président meno amato dal 1958, ripetono quella dolorosa cifra: soltanto il 15% dei francesi è soddisfatto del suo lavoro. Da giorni, da Israele arrivano invece inattese le lodi dei politici locali all'amico François e al suo ministro degli Esteri Laurent Fabius. A Ginevra, dove la settimana scorsa i cinque membri del Consiglio di Sicurezza più la Germania hanno negoziato per ore con l'Iran sul programma nucleare di Teheran, Parigi ha frenato su un possibile accordo, vincendo il plauso d'Israele e dei potentati del Golfo ostili a un'intesa debole che considerano pericolosa.
Nei tre lunghi giorni di incontri, focalizzati soprattutto sulle relazioni economiche, l'Iran nucleare sarà sempre l'argomento privilegiato dalle due parti e con molta probabilità centro del discorso che oggi Hollande terrà alla Knesset, il Parlamento israeliano. Ed è proprio parlando di Iran che ha avuto inizio la visita di Hollande in Israele, la prima da quando è diventato presidente nel 2012: «La Francia considera la proliferazione nucleare un pericolo - in Iran particolarmente - una minaccia per Israele, per la regione, per il mondo intero», ha detto il presidente appena sceso dall'aereo.
Le trattative di Ginevra ricominciano mercoledì, quando Hollande sarà da poco tornato a Parigi. Il francese ha già anticipato la posizione del suo Paese: «Finché non saremo certi che l'Iran abbia deciso di rinunciare alle armi nucleari, continueremo con le nostre richieste e con le sanzioni», ha spiegato ieri. Esattamente quello che Israele vuole sentire. Il governo di Netanyahu da mesi, da quando a settembre, a New York, c'è stato uno storico riavvicinamento tra i presidenti iraniano e americano Hassan Rouhani e Barack Obama, mette in guardia la comunità internazionale sui possibili rischi di un accordo prematuro e debole e chiede di mantenere le sanzioni economiche imposte a Teheran.
All'indomani del «no» della presidenza Hollande all'accordo di Ginevra, i giornali francesi hanno parlato anche di un tentativo di Parigi di consolidare la propria influenza in Medio Oriente, offrendosi come interlocutore privilegiato di Israele e regni del Golfo, rafforzandosi all'estero più che in casa. Il momento è propizio: Israele, sul dossier iraniano e sui colloqui di pace con i palestinesi, attraversa un periodo difficile con il suo alleato storico, gli Stati Uniti, e il quotidiano Le Monde parla di un «effetto John Kerry». Il segretario di Stato americano, che sarà di nuovo in Israele venerdì, ha scambiato nei giorni scorsi parole dure con i politici israeliani.
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