Gli Stati Uniti inviano la quinta cacciatorpediniere davanti alle coste della Siria, e la mossa non potrebbe essere più chiara nel momento in cui Washington conferma l'imminente (ieri è stato assicurato che sarà disponibile entro la fine della settimana) diffusione delle prove dell'uso di armi chimiche su vasta scala da parte del regime di Bashar Assad. Nel Mediterraneo orientale sono arrivate anche nuove navi russe e britanniche. Eppure, i tempi di un intervento non fanno che allungarsi. La situazione si aggroviglia sul piano diplomatico: a Londra il premier David Cameron prende tempo in attesa di un pronunciamento Onu, salvo precisare che il via libera delle Nazioni Unite non è indispensabile; a Washington si discute al Congresso e all'interno dell'Amministrazione, mentre aumentano le polemiche sull'evaporazione dell'effetto-sorpresa e i sondaggi confermano che gli americani non gradiscono che le loro forze armate intervengano in Siria; Assad e l'Iran alzano il tono delle loro minacce, soprattutto contro Israele che non c'entra nulla se non per il fatto che Damasco e i suoi alleati sperano di attirarsi simpatie nel mondo arabo assalendolo.
Ieri sera a Palazzo di Vetro un nuovo incontro dei rappresentanti dei Cinque Grandi (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia) del Consiglio di Sicurezza dell'Onu tentava di trovare una sintesi sul da farsi, sintesi che appare peraltro impossibile: Mosca e Pechino restano contrarissime a un attacco in Siria e insistono sulla necessità di far chiarezza su quanto è realmente accaduto dieci giorni fa vicino a Damasco.
Continua intanto il valzer delle consultazioni: Obama ha sentito la Merkel, Hollande ha ricevuto la Bonino all'Eliseo, il re di Giordania Abdallah è andato in visita dal Papa trovandosi d'accordo con lui nel definire il dialogo «l'unica opzione». Intanto però in Giordania vi sono caccia e centinaia di soldati Usa, pronti a passare all'azione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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