È costoso anche lasciare. Per l'America, l'Afghanistan è un prezzo da pagare, e non solo politico: sono milioni di dollari, miliardi. Non solo quelli spesi in oltre un decennio di missione, ma anche quelli che mancano per arrivare alla data cruciale, il ritiro programmato per la fine del 2014. E fra le centinaia di dettagli materiali da considerare, ce n'è uno che gli uomini del Pentagono ancora cercano di risolvere: che fare di tutte le armi e gli equipaggiamenti dispiegati. Il problema è che sono troppi, ingombranti da rimpatriare e comunque, ormai, inutili. Alla fine, circa il venti per cento del totale rimarrà a Kabul; ma siccome non può rimanere così com'è (non si sa mai), dovrà essere in qualche modo distrutto. Una specie di rottamazione colossale. Farewell to Arms. In soldi, sette miliardi di dollari di equipaggiamento che saranno di fatto abbandonati. Seminati fra le rocce afghane. Fatti a pezzi per essere rivenduti al mercato, un tanto al chilo. Il Washington Post ha raccontato questa nuova polemica nella polemica sul ritiro, che è anche una questione di immagine: in un momento di tagli non è bello che miliardi di dollari siano sprecati così, mollati oltreoceano, buttati alle spalle insieme a una guerra dichiarata finita. Non è bello neanche che, mentre si viene a sapere che il disarmo è in corso, i soldati americani intanto vengano uccisi in attacchi continui da parte dei talebani che si sono risvegliati di fronte alla prospettiva che il Paese sia libero dalle truppe straniere.
Il Pentagono è in imbarazzo. Cerca di non pubblicizzare il problema, che però resta. Nel venti per cento di armamenti che non tornerà a casa ci sono pure i blindati antimine «Mrap», dei veicoli superprotetti che la tecnologia Usa ha creato apposta per fronteggiare il pericolo delle strade irachene e afghane tempestate di insidie. Di questi veicoli ne esistono più di venticinquemila nel mondo: ebbene, secondo il Pentagono la metà ormai è inutile. Degli undicimila che girano per le strade di Kabul e dintorni, duemila sono considerati di troppo: resteranno lì. Un veicolo costa un milione di dollari, moltiplicato per duemila sono due miliardi di dollari. Che saranno smembrati pezzo dopo pezzo, in una operazione che richiede dodici ore di lavoro specifico da parte di esperti; poi, questi rifiuti finiranno sulle bancarelle come «polvere dorata», venduti per pochi centesimi.
Il generale Stein, che si occupa dei tagli in Afghanistan, ha spiegato al Washington Post che quello da Kabul «è il più grande ritiro della storia». E comunque, secondo i vertici militari le operazioni sono pianificate e portate avanti nel modo più corretto (anche per le casse pubbliche). Ma perché non donare gli equipaggiamenti agli afghani? Per l'America è da escludere. È stato possibile in Iraq, dove oltretutto gli Stati Uniti hanno avuto il vantaggio di poter parcheggiare molto materiale in Kuwait, in attesa di rispedirlo a casa. Ma le forze militari, economiche e politiche afghane non lo consentirebbero.
E poi di nuovo, anche in questo caso si riproporrebbe una questione di immagine: come lasciare equipaggiamenti sofisticati potenzialmente in mano anche ai talebani? Una parte potrebbe essere venduta o regalata agli alleati, che però si ritroverebbero con lo stesso problema: quindi - si presume - pochi sarebbero disponibili. Rimane il dubbio che poi tutti quegli armamenti e quei veicoli debbano essere magari riacquistati in futuro, dopo averne buttati via per miliardi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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