Gli afghani chiudono il 2013 nello sconforto per le recenti statistiche dell'Onu secondo cui le vittime civili del conflitto (oltre 8.000 fra morti e feriti) sono aumentate del 10% rispetto all'anno precedente. Ma nello stesso tempo prendono atto che il pluralismo sociale cresce, anche se per mettere fine alla violenza contro le donne molto deve essere ancora fatto. Negli anni '90 erano poche le forze impegnate per migliorare le condizioni di vita della gente, di fronte al cruento scontro fra i talebani e le fazioni jihadiste che li combattevano. Dodici anni dopo la società afghana, pur afflitta da un conflitto interno in cui è intervenuta anche la Nato, dispone di decine di partiti e migliaia di organizzazioni di base. Statistiche hanno rivelato che oggi l'Afghanistan dispone di ben 59 partiti politici e di 3.828 organizzazioni della società civile (difesa dei diritti umani, giovanili, femminili e culturali) che si impegnano per la democrazia e il pluralismo. Un ultimo esempio è stato il lancio a Kabul davanti a 3.000 persone del Partito Afghanistan Motahid Milat guidato da Abdurahim Ayubi, parlamentare di Kandahar. «Crediamo - ha detto all'Ansa - che l'unità fra la gente, il rigetto dei conflitti etnici, il rinnovamento della classe dirigente e più spazio per i giovani permetteranno di ricostruire questo Paese». Anche Ziaulhaq Zia, leader dell'Associazione giovanile afghana di sviluppo, ritiene che in vista degli eventi che si avvicinano - elezioni presidenziali in aprile e ritiro delle forze Nato entro il 2014 - si deve «puntare sulle nuove generazioni in politica e nella ricostruzione della Nazione». «Sappiamo che non dovremo più fare molto conto sul denaro dall'estero, ma che dovremo aiutarci l'un l'altro per il bene dell'Afghanistan». Il nostro progetto, ha aggiunto, «prevede una spinta educativa per le persone che hanno meno risorse» perchè questa gente povera, ma istruita, potrà poi assumere responsabilità nel Paese». In ogni caso sono in molti a sostenere che la vera partita afghana si giocherà sul miglioramento della condizione femminile, tema che sta a cuore ai Paesi, come l'Italia, che si sono impegnati ad aiutare l'Afghanistan anche dopo il ritiro della Nato. Progressi ve ne sono stati, come dimostrano le 67 deputate alla Camera e le 27 senatrici, e anche i 124 seggi conquistati da donne fra i 420 disponibili nei 34 consigli provinciali. Inoltre nel governo del presidente Hamid Karzai, tre «ministre» guidano i dicasteri di Salute, Affari femminili e Lavoro. E non si deve dimenticare poi che Habiba Sarabi, ex governatrice di Bamyan, corre come vice dell'ex ministro degli Esteri Zalmai Rassoul, nelle presidenziali del 5 aprile. E anche che una decina di donne sono state integrate nell'Alto Consiglio per la Pace che cerca di aprire un negoziato con i talebani. Un numero sempre maggiore di donne pratica sport, studia e lavora in molti settori fra cui sanità e magistratura. Come Maria Bashir che a Herat, dove opera il contingente militare italiano, ha l'incarico di Procuratore provinciale. Da segnalare infine il boom femminile nell'esercito (1.000 arruolate) e nelle forze di polizia (1.500, fra cui 224 ufficiali). La situazione tuttavia non è consolidata, come dicono le statistiche sulla violenza diffuse dalla Commissione indipendente afghana per i diritti umani (Aihrc). «Nei primi sei mesi del 2013 - si legge in un rapporto - 3.331 denunce di violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica contro donne sono state ricevute dall'Aihrc e trasmesse alla magistratura».
Preoccupato, Karzai ha sostenuto il 26 dicembre che «lottare contro questa violenza è nostra responsabilità. E chiedo a tutti di far sentire la loro voce e di operare affinchè le donne possano vivere con pari dignità nella nostra società»- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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