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L'India fa ancora aleggiare la pena di morte per i marò

New Delhi sta valutando il capo d'accusa che prevede l'esecuzione. Letta reagisce: "Inaccettabile". E pensa a improbabili contromisure

L'India fa ancora aleggiare la pena di morte per i marò

Lo spettro della pena di morte torna ad aleggiare sulla testa di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. I marò non finiranno mai al patibolo, ma solo evocare l'applicazione di una legge che prevede la sentenza capitale è un oltraggio all'Italia. E dimostra che le mosse adottate fino a oggi per riportarli a casa, un anno e 11 mesi dopo la morte in alto mare di due pescatori indiani, sono fallimentari. Non a caso chi segue la vicenda da parte governativa ha ammesso a denti stretti: «Siamo sotto scacco».
Da Roma il premier Enrico Letta, come il suo predecessore, ha abdicato per l'ennesima volta a rappresaglie concrete, ma alzato la vocina. «È inaccettabile - dice il presidente del Consiglio - il governo indiano agisca di conseguenza rispetto a quanto ha assicurato. E cioè che non sarebbe stata mai applicata la fattispecie della pirateria (che prevede la pena di morte nda) nel caso» dei marò.
Ieri mattina il quotidiano Hindustan Times ha “sparato” la notizia bomba citando una fonte anonima del governo di Delhi. «È stato raggiunto un accordo per dare alla Nia (la polizia antiterrorismo che indaga sui marò) il via libera nel presentare le accuse ai sensi della sezione 3 del Sua act, la legge anti pirateria che prevede la sentenza capitale.
Più tardi il ministro dell'Interno indiano, Sushil Kumar Shinde, non ha smentito questa possibilità rivelando, però, che una decisione finale «sarà presa in due o tre giorni».
Da Delhi, dove sta seguendo le prime battute del processo contro i marò, l'inviato speciale del governo italiano, Staffan De Mistura, ha replicato: «Se l'India decidesse di ricorrere alla legge antipirateria che prevede anche la pena di morte, sarebbe inaccettabile e noi prenderemmo le nostre contromisure». Purtroppo saranno solo reazioni da melina giudiziaria, come un possibile ricorso alla Corte suprema, che allungherà i tempi della permanenza dei marò in India. Ieri alle 16.30 il ministro degli Esteri, Emma Bonino, si è incontrata a Palazzo Chigi con il premier Enrico Letta, per affrontare la scabrosa situazione.
Il ministro della Difesa, Mario Mauro, ha scritto sul suo profilo Facebook: «È evidente che la campagna elettorale in India si sta avvicinando in modo prepotente. Il governo italiano mostrerà sui Fucilieri di Marina la necessaria inflessibilità».
Il processo è stato rinviato al 30 gennaio e la Nia deve ancora presentare il voluminoso atto d'accusa. Secondo fonti indiane potrebbe venir utilizzata la legge che prevede la pena di morte, ma la stessa polizia antiterrorismo chiederebbe alla corte di escludere la sentenza capitale. Una vittoria di Pirro perché l'altro aspetto perverso del «Sua act» è il ribaltamento sugli imputati dell'onere della prova. I marò eviteranno il patibolo, ma il processo sarebbe tutto in salita con una sentenza di colpevolezza già scritta.
«Siamo tranquilli, queste voci sulla pena di morte girano da tempo ma saranno smentite», ha dichiarato il fratello di Girone. Le continue sberle degli indiani, però, sollevano un problema politico. «Mai il prestigio dell'Italia era stato prima d'ora ferito in modo così brutale sulla scena internazionale - ha tuonato la deputata Mariastella Gelmini -.

Forza Italia chiede al governo di riferire subito in Parlamento».

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