Una cosa è certa, alla fine del suo soggiorno nella sezione transiti dell'aeroporto di Mosca la talpa americana Edward Snowden non potrà rifarsi una vita nel Belpaese. Il rifiuto della richiesta d'asilo rivolta all'Italia, ma anche ad altre 21 nazioni, da Snowden, è stata comunicata dal ministro degli Esteri Emma Bonino durante un'audizione alle commissioni di Affari costituzionali, Esteri e Difesa del Parlamento spiegando che «Non ci sono le condizioni giuridiche affinché l'Italia possa accogliere la richiesta». Mentre l'Italia si liberava di quella patata bollente Parigi faceva i conti con le figuracce di un presidente Francois Hollande prontissimo a tuonare contro le spiate americane e a minacciare il blocco dei colloqui sull'interscambio tra Bruxelles e Washington, ma assai distratto sulle attività degli 007 di casa propria. Prima di aprir bocca Hollande avrebbe fatto meglio a farsi accompagnare in boulevard Moutier. Lì avrebbe potuto bussare al portone della Dgse (Direction générale de la sécurité extérieure) - i servizi segreti militari francesi - e scendere nei tre piani interrati dove sono custoditi i miliardi di dati rubati ai suoi concittadini da un sistema di sorveglianza elettronica «made in France» simile al Prism americano.
A sbugiardare lo sdegnato presidente ci pensa il quotidiano Le Monde rivelando l'esistenza di un «dispositivo di spionaggio su ampia scala delle telecomunicazioni» gestito dalla Direzione generale della sicurezza esterna. Secondo il quotidiano l'intelligence francese «raccoglie sistematicamente i segnali elettromagnetici emessi da computer e telefoni» nel Paese e i flussi da e verso l'estero. I servizi segreti d'oltralpe hanno così pieno accesso non solo alle telefonate di tutti i francesi, ma anche alla loro posta elettronica oltre a disporre di una mappa precisa di ogni loro attività sui siti web. Il sistema non punta ad individuare il contenuto dei messaggi, ma a registrare ed immagazzinarne il «contenitore», ovvero i «metadati» che permettono di ricostruire identità e collocazione geografica di mittente e destinatario oltre ad altri elementi tecnici. «L'obiettivo è sapere chi parla a chi per ricostituire i legami tra obiettivi o identificare delle cellule» spiega il quotidiano. Tutti i «metadati» così raccolti vengono conservati nei tre piani interrati della sede della Dgse, all'interno di «un supercomputer capace di gestire decine di milioni di gigabyte».
Il problema del sofisticato sistema è la sua illegalità o meglio la sua «a-legalità». La legge francese pur vietando le intercettazioni dei contenuti, «non prevede nulla per quanto riguarda l'archiviazione» di dati tecnici da parte dei servizi segreti. Il sistema conosciuto in codice come «struttura condivisa» è a disposizione di tutte le agenzie di intelligence nazionali, dei vari servizi di sicurezza e perfino della polizia giudiziaria che può utilizzarli attribuendoli a informazioni anonime. Dunque, benché l'«infrastruttura condivisa» non esista ufficialmente, il suo funzionamento è autorizzato virtualmente dai vertici dello stato e quindi anche dalla presidenza della repubblica di Francois Hollande. «Da anni siamo nell'autorizzazione virtuale - spiega al quotidiano una fonte dei servizi francesi, sottolineando che - la situazione viene mantenuta perché tutte le agenzie dell'intelligence e della sicurezza nazionale lo utilizzano con soddisfazione».
Dopo la figuraccia francese è così toccato al cancelliere tedesco Angela Merkel chiamare Obama per riaffermare - secondo un comunicato della Casa Bianca - «l'importanza di proseguire una giusta cooperazione tra i rispettivi servizi di intelligence nella lotta contro il terrorismo».
La telefonata è servita anche a concordare gli ultimi dettagli della riunione bilaterale tra esperti di sicurezza che lunedì esaminerà le intrusioni spionistiche ai danni degli alleati europei.
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