Non siamo sorpresi, ma lascia sempre l'amaro in bocca costatare per l'ennesima volta che l'influenza italiana nel mondo è ben poca cosa. Sentirsi rispondere dal segretario generale dell'Onu che il caso marò non è un problema internazionale ma una questione fra Italia e India è proprio una beffa. E ci infastidisce non poco, visto che siamo tra i principali finanziatori delle Nazioni Unite, senza essere membri permanenti del consiglio di sicurezza, e che mettiamo continuamente a disposizione denaro e militari per le missioni di pace (solo quella in Libano è costata finora oltre due miliardi di euro). Certo, il giorno dopo Ban Ki Moon ha corretto il tiro, annunciando il suo interessamento e un intervento presso le autorità indiane.
Questo cambiamento di rotta però non è frutto del pressing italiano ma della discesa in campo dell'Unione Europea e della Nato al nostro fianco. È la stessa ministro degli Esteri Emma Bonino ad ammetterlo. «Non si pone più la questione bilaterale, ora abbiamo l'Ue e la Nato», ha detto ieri in Parlamento annunciando che la rappresentante della politica estera europea «Catherine Ashton sarà oggi a New York per incontrare il segretario dell'Onu». Il ministro degli Esteri ha detto di essere rimasta delusa dalla reazione iniziale di Ban Ki Moon, il quale ha comunque assicurato che intende approfondire il caso, anche sotto il profilo giuridico. Be', fa soltanto il suo sporco dovere giacché ci troviamo davanti a gravi violazioni di norme e convenzioni internazionali e a violazioni dei diritti umani. Non è forse questo lo scopo dell'Onu? E quello dell'India è un sopruso bello e buono.
Se dal Palazzo di Vetro dovessero ancora far finta di non capire, allora sarebbe il caso di riaffermare il nostro ruolo nella comunità internazionale e far pesare il nostro contributo perché possiamo sempre farlo venir meno. Diciamolo apertamente: anche nella diplomazia ci vuole fermezza, non si può pensare di risolvere tutto a tarallucci e vino. E il fatto che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone dopo due anni siano ancora in ostaggio di New Delhi ne è la lampante dimostrazione. Qui non si tratta di lanciare minacce, ma solo di rendere chiara la posizione dell'Italia. Non si può accettare, da qualunque lato si guardi la cosa, che dei militari in missione possano essere arrestati e perseguiti per terrorismo mentre svolgono compiti affidati loro dalla comunità internazionale. Creerebbe un precedente e metterebbe a rischio tutte le operazioni di pace, anti pirateria o anti terrorismo e i militari che vi partecipano. Ragion per cui sarebbe inevitabile stoppare le missioni. E per il segretario dell'Onu diventerebbe un incubo, tanto che ieri si è detto «preoccupato per le ripercussioni che il caso marò potrebbe avere sulle operazioni anti pirateria».
Una linea che vede uniti gli schieramenti politici, dal pd Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa del Senato, all'ex ministro Ignazio La Russa, leader di Fdi. «Se non sarà risolto il problema dei nostri fucilieri trattenuti in India, nel prossimo decreto chiederemo un drastico taglio alle missioni anti pirateria. Non si può non ricordare - ha aggiunto - che i nostri marò erano impegnati in una missione garantita da una risoluzione Onu del 2008». La Russa ha espresso lo stesso concetto accusando però il governo di aver seguito finora la linea Monti sul caso marò.
«Dovete trasformare questa vicenda burocratico-giudiziaria in una questione di dignità nazionale - ha detto -, dovete trasformare il vostro lento e disinteressato modo di procedere in mobilitazione generale, dovete dire che siamo pronti a scelte radicali».I marò intanto sono a New Delhi che attendono e domani dovranno spegnere la seconda candelina di prigionia.
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