McDonald's in guerra con Israele

McDonald's in guerra con Israele

GerusalemmeAnche un semplice cheeseburger può creare un caso in Medio Oriente. McDonald's Israele, filiale locale del re americano del fast food, ha rifiutato l'offerta di aprire un ristorante in un centro commerciale nell'insediamento israeliano di Ariel. La cittadina, con i suoi ventimila abitanti, è tra le colonie israeliane più vaste e popolose all'interno dei Territori palestinesi, cioè oltre la Linea verde e i confini del 1967.
La notizia è stata ripresa velocemente da tutte le televisioni e giornali israeliani, secondo i quali le motivazioni dietro alla scelta di McDonald's sarebbero «ideologiche». La filiale locale della catena americana ha confermato le voci e ha spiegato che da sempre la politica dell'azienda è quella di «non operare oltre i confini del 1967». È una decisione presa vent'anni fa, quando McDonald's ha aperto in Israele, dal capo del suo ufficio locale: Omri Padan è uno dei fondatori dell'organizzazione di attivisti Peace Now, contraria alla presenza israeliana nei Territori palestinesi.
McDonald's, scrive il quotidiano Haaretz, dal 1993 ha aperto in Israele 180 ristoranti e rappresenta il 70% del mercato locale dei fast food.
La reazione del movimento dei coloni e di parte della politica è arrivata immediata. Al Jerusalem Post, Yigal Delmonti, dello Yesha Council, organizzazione ombrello che raggruppa i rappresentanti degli insediamenti in Cisgiordania, ha detto che McDonald's da compagnia che fa affari «è diventato un'organizzazione con un'agenda politica contro Israele». Il sindaco di Ariel, Eliyahu Shaviro, ha parlato di «discriminazione» contro gli abitanti. E Ramy Levy, magnate israeliano della catena di supermercati omonima e vicino al Likud, partito del premier Benjamin Netanyahu, ha criticato il re dei panini. Nel centro commerciale, che lui stesso sta costruendo, «saranno assunti sia arabi sia ebrei - ha spiegato -. Il boicottaggio fa male anche alla popolazione araba che vorrebbe proteggere».
Il ministro dell'Edilizia abitativa, Uri Ariel, ha invitato gli israeliani a boicottare l'hamburger più famoso del mondo: «Quelli che boicottano dovrebbero sapere che saranno boicottati» ha detto, mentre la sua compagna di partito Ayelet Shaked ha già fatto sapere che si priverà dei panini americani. Il ministro e la deputata sono membri di Focolare ebraico, sorpresa delle elezioni di gennaio. Il suo leader, Naftali Bennet, vicino al movimento dei coloni, è contrario a una soluzione a due Stati tra israeliani e palestinesi.
Un'altra parte della società sostiene la scelta di McDonald's. Per Yariv Oppenheimer, attivista di Peace Now, «in una democrazia ogni persona o compagnia ha il diritto di decidere di non andare contro i propri valori». In passato, simili polemiche sono sorte proprio da Ariel, nel cuore della Cisgiordania, un insediamento che Israele, in un ipotetico accordo di pace con i palestinesi, vorrebbe vedere dalla sua parte del confine. Nel 2011, più di 150 accademici israeliani hanno annunciato di boicottare l'università di Ariel. Ospita circa dodicimila studenti ebrei e qualche centinaio di arabi. E nel 2010, un gruppo di artisti, attori, registi e scenografi in una lettera ha espresso il suo rifiuto ad andare in scena nel teatro dell'insediamento.
Da anni ormai la questione dell'attività di aziende, compagnie, istituti culturali oltre la Linea verde è dibattuta in Israele e anche nei corridoi della politica internazionale.

Proprio poche settimane fa, in una lettera ai ministri europei, il capo della politica estera di Bruxelles, Catherine Ashton, ha proposto un'etichettatura differenziata delle merci provenienti dalle colonie per i prodotti «made in Israel».

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