Petraeus "sconfessa" Obama su Bengasi

Il generale: dopo l'attacco al Consolato la Cia parlò subito di attentato terroristico. Ma il rapporto fu modificato

Petraeus "sconfessa" Obama su Bengasi

Il generale David Petraeus sarà anche un marito infedele, ma resta un ex direttore della Cia. E le sue verità nascoste rischiano di far molto male. Soprattutto quelle targate Bengasi. Per capirlo è bastata l'audizione segreta resa ieri dal generale alla Commissione Intelligence del Senato. Un'audizione segreta, ma devastante per l'amministrazione Obama. Un'audizione che il rappresentante repubblicano Peter King ha riassunto ai giornalisti subito dopo l'uscita di David Petraeus dal Congresso. La verità nascosta e assai dolorosa per la Casa Bianca riguarda il rapporto preparato dalla Cia dopo l'attacco al consolato di Bengasi costato la vita all'ambasciatore Stevens e a tre funzionari americani.

A dar retta a Petraeus, quel rapporto non alludeva assolutamente ad una protesta degenerata in un assalto. Il resoconto puntava invece il dito contro Al Qaida e le formazioni libiche collegate all'organizzazione terrorista sottolineando come l'attacco fosse stato preparato con molto anticipo. Esattamente il contrario, insomma, di quanto riferito dall'ambasciatore all'Onu Susan Rice 48 ore dopo l'assalto. Esattamente quello che sospettavano da tempo gli avversari di Obama. La Rice, una fedelissima di Obama, aveva invece parlato di un'aggressione imprevista scatenata dalla diffusione di un film americano altamente offensivo per i fedeli musulmani. Rivolgendosi alla Commissione Intelligence del Senato il generale ha fatto intendere di non sapere da dove fosse scaturita quella versione e di non aver la minima idea di chi avesse manipolato la sua versione dei fatti diffondendo un resoconto completamente artefatto.

Gli esponenti democratici della Commissione Intelligence hanno immediatamente controbattuto ricordando che il generale avrebbe esplicitamente escluso qualsiasi «interferenza della Casa Bianca». La doppia verità sui fatti di Bengasi allunga però ombre pesanti sull'indagine dell'Fbi costata il posto all'uomo simbolo della strategia militare americana in Iraq e Afghanistan. L'inchiesta sulle mail di Paula Broadwell, la biografa-amante del generale, acquista ancor più le sembianze di una bomba a tempo. Una bomba innescata solo all'indomani della rielezione di Obama quando qualcuno ha deciso di far esplodere lo scandalo. Quello scandalo prometteva di regalare ai democratici un doppio punto. Da una parte garantiva l'eliminazione dell'unico custode della verità sul fiasco in Cirenaica, dall'altra assicurava la messa fuori gioco di un'icona repubblicana considerato un possibile candidato per la prossima corsa alla Casa Bianca.

«Originariamente i punti della discussione inseriti nel rapporto indicavano molto più specificatamente il coinvolgimento di Al Qaida mentre quelli finali davano solo alcune indicazioni sulla presenza di estremisti» ha spiegato il senatore repubblicano King, aggiungendo che la versione finale del rapporto sarebbe - secondo Petraeus - il prodotto di un oscuro «processo tra varie agenzie governative». Una versione confermata secondo King anche da un analista di Langley secondo il quale tutti riferimenti della Cia al ruolo di Al Qaida sono stati eliminati dalla versione ufficiale. E ai dubbi innescati dalla deposizione del generale s'aggiungono le inchieste giornalistiche basate sulle indiscrezioni di molte gole profonde.

Secondo una di queste, la Broadwell - tra il 2003 e il 2004 - lavorò per sei mesi in qualità funzionario dell'intelligence dell'esercito nella «Joint Terrorism Task Force» dell'Fbi superando poi un test poligrafico per l'assunzione definitiva nel Federal Bureau. Un'assunzione a cui avrebbe rinunciato scegliendo gli studi ad Harvard ed intraprendendo la strada che l'ha portata al fatale incontro con David Petraeus.

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