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Il putinismo è in crisi ma Putin resiste ancora

In dieci anni ha lanciato l’economia "inventando" una classe media. E si sa vendere: intervistato dai giornali occidentali ne esce da leader. Ecco perché la Russia lo ama

Il putinismo è in crisi ma Putin resiste ancora

Il sondaggio più recente è del Levada Center e lascia pochi dubbi sul risultato del voto: sei russi su dieci sceglieranno Vladimir Putin alle presidenziali di domani, con buona pace per le critiche che arrivano dai movimenti liberal e dai grandi quotidiani europei. Putin è l’unico vero leader del Cremlino dalla fine degli anni Novanta, quando è arrivato alla scrivania di un ministero passando per le caserme dei servizi segreti. Quella era la Russia di Eltsin, della guerra in Cecenia e degli oligarchi al potere. I critici sostengono che Putin non sia cambiato molto in questi anni, parla ancora come un vecchio agente del Kgb e conserva il potere grazie a favori e brogli elettorali, ma i numeri dell’economia raccontano una storia diversa. Negli ultimi dieci anni il reddito medio è passato da 560 a 750 dollari al mese, la percentuale di popolazione sotto la soglia di povertà è scesa da 40 al 15 per cento, sessanta milioni di cittadini possono dire di appartenere alla classe media (nel 2000 erano meno di dieci milioni). La ragione della popolarità di Putin è soprattutto in questi dati.
Il presidente lo ha spiegato giovedì sera ai direttori di alcuni quotidiani nella dacia di Novo Ogariedo, una villa elegante e super protetta poco lontana da Mosca. Il plotone era guidato da John Harding, il grande capo del Times di Londra, da Ezio Mauro di Repubblica e Sylvie Kauffman del Monde. Insieme hanno cercato di mettere Putin nell’angolo con gli argomenti usati spesso dagli avvocati dei diritti umani e dai giovani che scendono in piazza per protestare contro il governo: perché non ascoltate gli oppositori? Come vi sentite quando vi danno di corrotti? Non sarebbe più semplice se rivelaste i vostri redditi? A giudicare dal risultato sulla carta, non si può dire che l’operazione sia riuscita del tutto. Putin ha spiegato che le manifestazioni non sono una sorpresa, anzi, servono per capire che cosa fare con il Paese. Ha ricordato che in giro per l’Europa è pieno di politici che restano per anni al potere e lo fanno seguendo le regole della democrazia. Ha mostrato sicurezza quando gli hanno fatto notare che la classe media lo sta abbandonando: loro sono più esigenti, ha risposto, ma la maggioranza è sempre con me.
Certo, negli ultimi mesi le proteste contro Putin non sono mancate. Una grande manifestazione ha gonfiato piazza Boltonaya, nel centro di Mosca, e domenica scorsa migliaia di cittadini sono scesi in strada e hanno formato un cerchio largo una decina di chilometri per mandare un messaggio abbastanza preciso alle autorità: l’opposizione esiste, non è troppo rumorosa ma si vede. I cortei sono cominciati lo scorso autunno, quando Putin ha annunciato quel che molti osservatori sospettavano da tempo: dopo quattro anni da primo ministro avrebbe partecipato alle presidenziali come candidato, lasciando la guida del governo al suo delfino, Dmitri Medvedev, che lo aveva sostituito al Cremlino. Questo scambio di cariche è stato avvertito da milioni di elettori come un’offesa allo spirito della democrazia. Per la prima volta, un cartellone che diceva «Putin vattene» è comparso di fronte al Cremlino, la stampa internazionale ha ripreso le critiche al Cremlino, a Mosca è arrivata anche una tv via cavo dedicata ai giovani che segue passo per passo le marce di protesta (si chiama Dozhd, significa «pioggia»).
La prova visibile che le cose non siano sempre facili per Putin è arrivata a dicembre, quando i russi sono andati alle urne per eleggere il Parlamento e hanno bocciato il suo partito. Nelle stesse settimane, i candidati di opposizione hanno rafforzato le loro campagne: fra loro ci sono nazionalisti, comunisti come Gennady Zyuganov, e il milionario Mikhail Prokhorov, la vera sorpresa di queste elezioni. Ma appena l’attenzione è passata dal voto per il Parlamento a quello per il presidente, anche i sondaggi hanno cominciato a cambiare segno, come dire che il putinismo può andare in crisi, ma la forza del leader è sempre grande. La popolarità di Putin è salita dal minimo storico di dicembre (era intorno al 35 per cento) sino al 50 per cento di fine gennaio, per toccare il 66 registrato nei giorni scorsi dal Levada Center, che non è certo un istituto vicino al Cremlino. Nessuno mette in dubbio il successo di domani, l’unico problema è capire se Putin si fermerà alle previsioni o supererà la soglia del settanta per cento. Il futuro presidente non si può permettere di ignorare le proteste di piazza: arrivano dalla classe media, il gruppo che lui stesso ha creato e che è stato a lungo il suo fortino di voti.

Ma il Paese, per il momento, è ancora dalla sua parte.

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