Il 9 novembre 1989, quando il muro di Berlino venne giù, molti sognarono un mondo senza più divisioni. Illusioni. Ventiquattro anni dopo, come racconta il quotidiano britannico The Guardian, i «muri» vivono e crescono tutt'attorno a noi. In tutto ottomila chilometri di cemento armato, reti, filo spinato, sensori elettronici tirati su ai quattro angoli del globo e utilizzati per tener lontani «nemici», «terroristi», «clandestini», «contrabbandieri» e «delinquenti». Ottomila chilometri di barriere progettate nel nome della sicurezza di chi «sta dentro», ma destinati a moltiplicare la voglia d'entrare di chi «resta fuori». Non tutto è iniziato dopo quel 1989 destinato, idealmente, a segnare e l'avvento delle democrazie e la fine della storia. Il muro tra i quartieri benestanti di Alphaville da quelli ad alto tasso criminale di San Paolo in Brasile risale al 1978 e continua ad allungarsi. I pochi chilometri di 35 anni fa sono diventati oltre 60 e proteggono una comunità di 60mila residenti difesi da 960 guardie.
Ma i muri a volte fanno vincere le guerre. La barriera di cemento e filo spinato, disseminata di mine e sensori, costruita nel Sahara dal Marocco ha segnato la sconfitta degli indipendentisti del Polisario. Il muro iniziato nel 1980 ha bloccato gli attacchi dei guerriglieri in lotta per la «liberazione» degli ex territori spagnoli annessi da Rabat. E cancellato le speranze di 60mila profughi saharawi condannati a languire nel deserto.
Un muro ha segnato l'epilogo della «seconda intifada», la rivolta palestinese segnata dagli attacchi dei kamikaze di Hamas. Da quando nel 2002 Israele ha sigillato con una barriera di 498 chilometri i territori palestinesi in Cisgiordania gli attacchi si sono drasticamente ridotti. Ma quella barriera di cemento, reti e sensori ha sancito l'annessione di fatto del 9 per cento dei territori palestinesi e trasformato in una gabbia la Cisgiordania.
Gli Stati Uniti, d'altra parte, hanno atteso solo sei anni dalla caduta del muro di Berlino per costruirne uno tutto loro. Fu il democratico Bill Clinton nel '94 ad approvare i progetti per delimitare con 555 chilometri di barriere d'acciaio il confine messicano tra El Paso e Ciudad Juárez e tra San Diego e Tijuana.
Quei 555 chilometri sono poca cosa rispetto al «vallo» di 4023 chilometri progettato dagli indiani per bloccare l'esodo dei 20 milioni di clandestini tracimati dal vicino Bangladesh. Muri e barriere sono la soluzione scelta anche da Grecia, Turchia e Bulgaria per sigillare i propri territori. I turchi lavorano alla costruzione di un muro nel distretto di Nusaybin, di fronte alla città siriana di Qamishli, destinato a chiudere i 900 chilometri di frontiera e bloccare i siriani in fuga. E altri muri sorgono più a occidente.
La Grecia ha delimitato con una decina di chilometri di filo spinato gli accessi dall'Evros, il fiume che fa da confine con la Turchia. La Bulgaria annuncia invece la cotruzione di 107 chilometri di recinzione per ostacolare gli ingressi illegali dalla Turchia.
Sul fronte occidentale della «fortezza Europa» sono invece gli 11 chilometri di muraglie e filo spinato erette dagli spagnoli nelle enclavi di Ceuta e Melilla sulla costa marocchina ad arginare le migliaia di disperati che premono dall'Africa.
E a 23 anni dalla caduta di Berlino restano in piedi e si moltiplicano pure le barriere dell'odio. Un muro di cinque chilometri circonda oggi Bab el Amra, il quartiere simbolo di Homs dove la protesta diventò, tre anni, fa lotta armata.
E nell'Irlanda del nord le comunità cristiane e quelle protestanti continuano, nonostante la pace, a vivere separate da 99 muri estesi per una lunghezza di oltre 48 chilometri. Ma il vero simbolo della divisione, ultima eredità della «guerra fredda» resta la recinzione di 250 chilometri tra le due Coree e che neppure 60 anni di trattative sono riuscite ad abbattere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.