Braccio di ferro senza fine in Egitto. Da una parte i manifestanti anti-Morsi - che ieri, durante l'ennesima manifestazione, sono riusciti ad avvicinarsi nuovamente al palazzo presidenziale ma sono stati attaccati da uomini mascherati che hanno sparato con fucili e provocato almeno 11 feriti - e dall'altra i manifestanti pro-presidente, cioè gli islamici che inneggiavano il loro «sì alla sharia e alla stabilità» chiedendo di votare favorevolmente al referendum costituzionale del 15 dicembre. Al centro dello scontro c'è sempre la consultazione elettorale e la ragionevole certezza delle derive autoritarie in caso di vittoria del sì. Per questo il 90% dei giudici egiziani - ha riferito Ahmad el Zend, presidente del club dei giudici, associazione che raccoglie molti magistrati - si rifiuta di effettuare la supervisione ai seggi, definendo«una violazione flagrante dell'integrità della magistratura» il decreto che affida alle forze armate potere di sostegno alla polizia, cioè la possibilità di arresto dei civili per mantenere la sicurezza. Opzione che l'ufficio delle relazioni esterne della presidenza si è premurato a smentire.
A cercare di mediare nel muro contro muro arriva ora il ministro della Difesa, generale Abdel Fattah al-Sissi, con un appello a tutti i partiti, ai rappresentanti dell'università di al Azhar (la più prestigiosa istituzione dell'islam sunnita) e della società civile, affinché partecipino stasera al Cairo a una riunione per trovare un'intesa. Alla quale parteciperà anche Morsi.
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