Salta la minacciata fuga da Sochi Bubka: «Qui per il morale del Paese»

Olimpiadi e guerra è un binomio impossibile nella storia, ma convive in questi giorni a Sochi. La guerra civile in Ucraina si prende la scena perché gli atleti ucraini a lungo ieri hanno minacciato di abbandonare i Giochi e tornare in patria. A impedire che la situazione degenerasse è stato l'incontro con il presidente del comitato olimpico ucraino, Bubka: «Siamo profondamente preoccupati per i tragici eventi - ha detto l'ex campione di salto con l'asta -. Ogni membro della squadra olimpica prende quanto sta avvenendo in maniera molto personale. L'Ucraina continuerà a partecipare ai Giochi per sollevare gli animi dei connazionali a casa». Restano anche la sciatrice Bogdana Matsotska e il padre-allenatore Oleg Matsiotskyy che su Facebook si erano scagliati contro il presidente Viktor Yanukovych. A partire da Matsiotskyy: «Ha affondato le ultime speranze degli ucraini nel sangue, infrangendo anche la tregua olimpica. Solidali con coloro che lottano in piazza e in segno di protesta contro il governo, ci rifiutiamo di prendere ulteriormente parte ai Giochi di Sochi». In piena sintonia con la figlia: «Mi rifiuto di gareggiare ancora». Invece i due restano in Russia anche senza gareggiare, mentre torneranno a casa solo gli atleti che hanno concluso le loro gare. Nel pomeriggio la delegazione ucraina, tutti i 43 atleti e i dirigenti, hanno osservato un minuto di silenzio nel quartier generale mentre la bandiera nazionale è stata listata a lutto. Un piccolo segno dopo che il Cio martedì aveva impedito agli ucraini di gareggiare con il lutto al braccio.

E le due fondiste Marina Lisogor ed Ekaterina Serdyuk non si erano presentate al via. Protesta mascherata ufficialmente da «infortunio». La guerra più forte dei Giochi, tremila anni dopo non è più tempo di tregua olimpica.

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