di Fiamma Nirenstein
Onestamente, e con la convinzione che il ministro Emma Bonino, che è, per storia politica, pacifista, abbia gestito un ruolo di avanguardia per l'Italia nell'ondata di eccitazione che ha pervaso il mondo dopo il primo accordo fra l'Iran e i P5+1, vorrei suggerire un brivido profondo per tutti gli italiani quando un personaggio come il presidente iraniano Hassan Rohani dichiara che «l'Italia ha giuocato il ruolo di partner importante della Repubblica islamica ed è la nostra porta d'Europa». In realtà, se ci resta qualche senso della nostra storia e anche dei nostri interessi strategici, deve riempirci di sgomento l'idea che la storia potrà giudicarci per avere aperto una porta tanto pericolosa, e che non basta la speranza che l'Iran intenda davvero riunciare all'uso militare dell'atomo, quando l'attuale accordo, della durata di sei mesi, è da tutti, compreso gli Usa, visto come incerto e traballante. La questione iraniana non è soltanto quella atomica: siamo di fronte a un Paese problematico da ogni punto di vista, pericoloso per il genere umano perché guidato da criteri integralisti e imperialisti. È il maggiore esportatore di terrorismo su almeno tre continenti, fiancheggia e finanzia i peggiori assassini di Bashar Assad, è il burattinaio degli hezbollah, un'organizzazione terrorista che combatte per Assad e agisce in tutto il mondo. L'Iran è un paese che da quando Rohani è presidente ha giustiziato 400 persone, che impicca gli omosessuali e perseguita dissidenti e donne. Rohani è il presidente che il leader supremo Khamenei, il capo che ha appena chiamato Israele «un cane rabbioso da eliminare» e ha fatto scandire ai suoi «morte all'America,» ha spinto avanti fino all'elezione. Dai tempi di Khomeini è uno dei più fedeli funzionari del regime. La stampa internazionale ha sempre amato definirlo un moderato.
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