Strage chiama strage: 30 morti in Egitto

Strage chiama strage: 30 morti in Egitto

Per il presidente Mohammed Morsi è la crisi più profonda da quando è iniziato il suo mandato, a giugno. In Egitto da venerdì, secondo anniversario della rivoluzione del 2011, quasi 40 persone sono rimaste uccise nelle violenze al Cairo e nelle cittadine sul canale di Suez.
Almeno 30 persone sono morte ieri in scontri a Port Said, tra le vittime ci sono due poliziotti e due calciatori, e più di 300 sono i feriti. L'ira di centinaia di giovani è esplosa in mattinata, quando la tv di Stato ha mandato in onda immagini dall'interno di un tribunale del Cairo. In piedi sui banchi della corte, donne e uomini hanno danzato ed esultato quando un giudice ha letto la sentenza. Ventuno persone sono state «ridirette al Gran Mufti», la più alta autorità legale islamica egiziana. Si tratta di una frase che non menziona ma indica la pena di morte, comminabile soltanto se accettata dai vertici religiosi. I 21 - di Port Said - sono accusati di aver partecipato alla più grande strage nella storia del calcio egiziano: a febbraio 2012, 74 persone hanno perso la vita quando a Port Said, alla fine di una partita, i fan della squadra locale al Masry hanno fatto invasione di campo. Sono seguiti scontri tra loro e la tifoseria del club cairota al Ahly.
La sentenza di ieri resta parziale, perché altri 50 imputati attendono il verdetto. La reazione dei tifosi di Port Said è stata immediata. Abitanti della città e tifosi della squadra locale si sono riversati rabbiosi per le strade contro il verdetto del Cairo. A renderli ancora più furiosi, il fatto che nove ufficiali delle forze di sicurezza accusati per la strage non siano stati condannati: attendono una sentenza a marzo. Dopo i fatti di febbraio, la polizia era stata criticata per non aver messo fine agli scontri allo stadio e per non aver garantito la sicurezza, permettendo l'introduzione di armi sugli spalti.
C'è chi in Egitto vede nel verdetto una scappatoia delle autorità per mettere fine alle pressioni degli ultras dell'altra squadra coinvolta, al Ahly. Gli ultras Ahlawy - la maggior parte delle vittime a febbraio era di quella tifoseria - hanno preso parte con violenza alle manifestazioni del 2011 e del 2012 e per il governo sono una minaccia. Se nel cuore del Cairo, alla sede del club al Ahly, migliaia di fan hanno festeggiato ieri, a Port Said le tifoserie si sono scagliate contro i posti di polizia, i simboli delle istituzioni e del governo. I familiari dei 21 condannati hanno tentato d'assalire la prigione della città aiutati dalla folla. I treni diretti a Port Said sono stati fermati, la polizia ha isolato la città con blocchi stradali.
Le autorità egiziane sono apparse subito incapaci di gestire l'emergenza. Il Consiglio nazionale di Difesa, guidato dal presidente, ha condannato le violenze e invocato il dialogo. L'esercito è stato dispiegato a Port Said e Suez, dove da venerdì ci sono tensioni, dove sempre venerdì sono rimaste uccise otto persone e ieri è stato incendiato un posto di polizia. Testimoni parlano però dell'arrivo di blindati davanti al penitenziaro di Port Said soltanto a pomeriggio inoltrato, quando ormai i dottori dell'ospedale locale contavano quasi 30 morti. Il giorno prima, nelle violenze scoppiate a lato delle manifestazioni organizzate per l'anniversario della rivoluzione, nove persone sono rimaste uccise.

E, mentre anche in centro al Cairo ieri cresceva la folla in protesta contro il governo, l'opposizione ha chiesto al presidente Morsi, che ha annullato la sua visita ad Addis Abeba per partecipare al summit dell'Unione Africana, di trovare una via d'uscita dal caos, minacciando di boicottare le prossime elezioni parlamentari.

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