Uno a uno nelle sinagoghe di casa loro, e poi insieme al cimitero di Modiin con Bibi Netanyahu che ha porto loro l'ultimo saluto, Eyal, Gilad e Naftali sono stati seppelliti dal loro popolo unito, religiosi e laici, destra e sinistra. Le loro mamme e i loro padri ne hanno narrato la forza d'animo e le loro tenere passioni di ragazzi speciali, il nonno di Eyal si è detto sicuro che il suo nipote abbia lottato fino all'ultimo con i rapitori per «fargli vedere che noi non abbiamo paura». Ofir padre di Gilad, quello fra i tre ragazzi che ha chiamato la polizia dalla macchina dei rapitori, ha detto: «Abbiamo un dolore privato, ma un immenso orgoglio che appartiene a tutto il popolo, per il tuo incredibile coraggio».
Il ministro della difesa Moshe Ya'alon ha assicurato che i responsabili verranno presi e condotti di fronte alla giustizia: «Non ci fermeremo e non piangeremo finchè non metteremo le mani su di loro» ha detto. Israele è piegato dal dolore e insieme deteminato, convinto della necessità di agire. Peres ha detto bene: il popolo intero «scuote la testa», incredulo che quei tre ragazzini che tornavano da scuola possano essere stati uccisi a sangue freddo, che i 18 giorni di ricerche siano fallite sulla crudeltà degli assassini. Ma come reagire, come combatterli? In queste ore la discussione è durissima anche all'interno del gabinetto di Netanyahu: Hamas dopo la scoperta del crimine ha intensificato il lancio di missili sul sud, quasi a invitare una reazione israeliana, una vera e propria guerra. Netanyahu non pare favorevole a un attacco frontale, e pensa ad altre possibilità, come un intervento diretto contro la leadership di Ismail Haniyeh.
Hamas è comunque l'obiettivo, e consapevole di questo l'organizzazione terroristica cerca ormai di scaldare l'atmosfera fino al calor bianco per raccogliere il consenso di tutto il mondo palestinese. Purtroppo le prove sono sul campo, nonostante il coraggio di Abu Mazen che ha condannato il rapimento chiedendo di restituire i ragazzi «anch'essi essere umani». Ma quando ieri l'ambulanza ha raccolto i resti dei ragazzi per trasportarli all'obitorio di Gerusalemme, una folla indistinta intorno all'auto l'ha bombardata di sassi e di improperi. Nei giorni scorsi su facebook i palestinesi hanno postato dal West Bank una campagna orrida: una quantità di persone, compresi molti bambini sorridenti, alzavano tre dita in segno di vittoria, per segnalare la loro soddisfazione per il triplice rapimento. Il rapimento per liberare col ricatto i detenuti, spesso terroristi con ergastoli plurimi, nelle carceri israeliane, è stata lodata anche dalle leadership di Fatah, compreso Abu Mazen (nel 2011: «Hamas ha rapito un prigioniero, Gilad Shalit, e l'ha tenuto prigioniero cinque anni: è una buona cosa..»; Jibril Rajoub, un grosso leader, quest'anno: «Se Hamas vuole rapire soldati, noi li incoraggiamo») mentre i ritratti degli shahid tappezzano le strade e sono oggetto di venerazione in tutta la società. La cultura dei rapimenti è generalizzata, ed è l'incitamento per cui gli israeliani sono descritti come mostri dalla tv, dai testi, dai giornali, e l'esistenza stessa di Israele è anatema. Netanyahu sa che un attacco frontale a Hamas può suscitare consensi per l'organizzazione terroristica e distruggere Abu Mazen. Prima cosa, sembra trovare i due rapitori, due attivisti di Hamas che avevano già conosciuto la giustizia israeliana, Amar Abu Eisha e Marwan Kawasmeh.
Si comincia anche a capire meglio che i due hanno ucciso i ragazzi quasi subito dopo che erano saliti in macchina, probabilmente in relazione alla loro reazione al rapimento. Nella registrazione della polizia della telefonata di Gilad che dice «ci hanno rapito» si sente poi la voce del rapitore che ripete «giù la testa».
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