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Vendetta contro l’Occidente la Siria caccia i diplomatici I russi: Assad è sacrificabile

Vendetta contro l’Occidente la Siria caccia i diplomatici I russi: Assad è sacrificabile

È arrivata, tutt’altro che inattesa ma pur sempre di forte significato simbolico, la replica del regime di Damasco all’espulsione dei suoi ambasciatori da una serie di Paesi occidentali, eseguita in coordinamento la scorsa settimana in seguito alla strage di Houla, oltre cento persone massacrate in maggioranza donne e bambini, per responsabilità del governo di Bashar el Assad. La notifica di «persona non grata» ai rappresentanti diplomatici di (fra gli altri) Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia, Francia, Spagna, Turchia e Svizzera è stata consegnata ieri e questi ambasciatori - insieme con gli incaricati d’affari di Germania, Canada, Belgio e Bulgaria - saranno a loro volta espulsi dalla Siria.
Il nostro ministero degli Esteri ha replicato precisando che l’ambasciatore italiano è già stato richiamato da Damasco per iniziativa del governo di Roma lo scorso 14 marzo.
E mentre si radicalizza lo scontro diplomatico tra Occidente e Siria, con il delinearsi all’orizzonte delle condizioni per un eventuale intervento militare contro il regime di Assad, si fa sempre più difficile la posizione della Russia, che della Siria baathista è fin dai tempi dell’Unione Sovietica il più stretto alleato. Le insistenti pressioni su Mosca, esercitate ultimamente ai massimi livelli sia europei sia americani, stanno producendo qualche nuovo rilevante effetto. Ieri il viceministro degli esteri Ghennadi Gatilov ha affermato per la prima volta che il mantenimento al potere di Assad al termine del processo politico in corso in Siria «non è una condizione prioritaria». Il contestatissimo Assad, insomma, potrebbe anche essere sacrificato, purché ciò avvenga in un contesto negoziale concordato con Mosca.
È un chiaro passo avanti rispetto a quanto detto fino al giorno prima dal ministro degli Esteri Serghei Lavrov, che si era limitato a dire sulla permanenza al potere di Assad avrebbero dovuto decidere i siriani. Si comincia insomma a pensare a una transizione. Il modello sembra essere quello attuato nello Yemen, dove un altro screditato autocrate, Ali Saleh, si è alfine fatto da parte dopo un’intensa mediazione americana mirata a ottenere la fine degli scontri e la pacificazione politica. Condizione sine qua non posta dai russi - sostenuti senza mezze misure dalla Cina, che è sempre più chiaramente l’alleato strategico su base globale scelto da Vladimir Putin - è il rifiuto di un intervento militare straniero in Siria: niente repliche del modello Libia, insomma.
A rendere più difficile uno sbocco negoziale della crisi siriana c’è la totale mancanza di disponibilità da parte dei due fronti contrapposti sul terreno. Per Assad l’opposizione è composta solo da terroristi, mentre il fronte dei ribelli altro non chiede che di essere armato adeguatamente dall’esterno per liquidare il regime. In queste condizioni, la prospettiva più realistica - e inquietante - è quella della guerra civile in Siria.
Prospettiva che è in certo senso già realtà: anche ieri ci sono stati violenti scontri armati, con un sanguinoso bilancio di decine di morti, tra i quali 15 soldati regolari uccisi dai rivoltosi a Latakia.

L’Esercito siriano libero - che sono appunto i ribelli, in gran parte disertori dell’armata di Assad - ha annunciato nei giorni scorsi la ripresa dei combattimenti, ritenendo fallito il piano di pace tentato dall’inviato dell’Onu e della Lega Araba Kofi Annan.

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