Alla fine si è sentita anche questa: «Il Venezuela è una delle migliori democrazie al mondo». Quindi rumba, salsa, merengue, cha cha cha e fuochi d'artificio, a chiudere, mentre molti giù in piazza, sgommando verso casa, si domandavano qual era il senso recondito della battuta sulla democrazia. Al microfono il presidentissimo Hugo Chavez, salutando dal balcone a sciabola sguainata (quella di Simon Bolivar, il padre della patria) la sua quarta rielezione alla carica più alta dello Stato. Cinquantaquattro virgola quattro per cento a suo favore contro il quarantaquattro virgola quattro (10 punti secchi, un trionfo) messo insieme dal suo sfidante Henrique Capriles: un altro dei morti che camminano che in questi anni si sono messi in testa di sfidare l'ex colonnello dei parà amico dei Castro brothers e dell'atomico presidente iraniano Ahmadinejad.
Non è stata, quella sulla democrazia venezuelana, la sola battuta umoristica dell'alluvionale, funambolico, scoppiettante discorso di ringraziamento del caudillo. Eppure, il profeta del «socialismo del XXI secolo» è sembrato ugualmente un po' giù di tono. La stanchezza di una campagna elettorale più faticosa del previsto, gli strascichi di un cancro con cui convive da oltre un anno, chissà. Ma è bastato l'ululato della folla, insieme a certe fracassanti risate seguite alle sue battute (compresa quella sulla democrazia) a galvanizzarlo. Ancora Chavez, dunque, fino al 2019. Ma lui si sta organizzando per resistere fino al 2031.
Nessuna obiezione al verdetto delle urne, neppure da parte dello sconfitto. Segno che le parole d'ordine di Chavez contro la «borghesia oligarchica» all'interno, e il suo referente esterno, cioè l'«imperialismo» degli Stati Uniti, tirano ancora, elettoralmente parlando. Da domani si fa - meglio, si dovrebbe fare - sul serio, decidendosi ad affrontare l'inflazione, fra le più alte al mondo, e l'insicurezza, visto il rotundo fracaso, ovvero il clamoroso fallimento dei «piani nazionali» varati fin qui per debellare la criminalità macro e micro. Ma ci sono questioni più urgenti che spingono all'orizzonte e reclamano l'attenzione del presidente.
Morto l'amico Gheddafi, nei guai seri quel gentiluomo siriano, Bashar El Assad, che a Caracas ha sempre trovato porte spalancate, finchè gli è stato possibile lasciare il suo bunker di Damasco, Chavez è rimasto solo a combattere la perfidia degli Usa. Il cancro che ha colpito lui, la presidentessa argentina Cristina de Kirchner, il brasiliano Lula Da Silva e altri? Per Chavez è sicuro. Dietro questa gragnuola di tumori ci sono gli scienziati americani che hanno sviluppato una tecnica «per inoculare il cancro». E il terremoto di Haiti, due anni fa? Sono stati loro, gli Usa. Stavano testando certe armi terrificanti, ed ecco scatenato il terremoto. Un errore? Ma no, il terremoto era stato studiato a tavolino, naturalmente, per mandare sull'isola migliaia di «operatori umanitari» con l'obiettivo di avvicinarsi al Venezuela e impadronirsi con la frode e con l'inganno del petrolio. Anche i marziani, secondo l'immaginifico Chavez, hanno dovuto pagare pegno allo strapotere americano. Marte vittima della guerra per l'acqua. «Probabilmente c'era una civiltà su Marte, ma forse il capitalismo è arrivato fin lì, e ha distrutto il pianeta». Una volta si è perfino messo in testa di cambiare il fuso orario del Venezuela anticipandolo di trenta minuti. Così, ha spiegato alle masse, «la rivoluzione bolivariana avrà più tempo per avanzare». Un'altra volta si è messo in testa di invertire la posizione del cavallo bianco sullo stemma della bandiera nazionale, pretendendo che cavalcasse non più verso destra ma verso sinistra, dritto verso il sol dell'avvenire. Poi, in pieno delirio demografico, ha presentato un progetto di legge che vietava di chiamare i neonati come avevano deciso i genitori. Sarà il governo ad assegnare i nomi. Un centinaio e non di più, per evitare l'attuale, inutile babele. Tra i più gettonati, naturalmente, Hugo.
Per finire: que viva Chavez! In un mondo sempre più scialbo e prevedibile, scrivemmo un anno fa, e ripetiamo oggi, ci mancherebbe il suo populismo socialistoide e petardistico, le tarantelle col presidente iraniano e il folklore del suo antiamericanismo. Dunque musica: salsa, merengue e cha cha cha, alla faccia degli scienziati americani che lo volevano morto.
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