Eugenio, il Savoia eroe dell’Austria

Napoleone lo considerava un suo modello: uno dei grandi capitani della storia, con Alessandro Magno e pochi altri. E come Alessandro Magno, anche lui godeva fama di omosessuale: lo chiamavano «Marte senza Venere», oppure «Madame Sodomie». Ma in battaglia Eugenio di Savoia non faceva la parte dell’effeminato. La sua gloria militare iniziò a vent’anni, il 12 settembre 1683, quando, sciabola alla mano, si fece largo come un angelo sterminatore fra i turchi che assediavano Vienna. In quella battaglia, che fermò per sempre l’espansione dell’Islam verso Occidente, fu uno dei protagonisti, e poi non diede tregua agli ottomani ricacciandoli sempre più indietro nella penisola balcanica, sconfiggendoli a Buda e a Belgrado. I viennesi non se ne scordarono mai: la sua statua a cavallo troneggia nel centro della città, in HeldenPlatz, la Piazza degli Eroi, e il suo corpo riposa nel Duomo di Santo Stefano (mentre il suo cuore è custodito nella Basilica di Superga, da lui fatta erigere per celebrare la cacciata dei francesi da Torino). Anche perché, da allora, Eugenio di Savoia militò al servizio degli Asburgo. Sebbene fosse nato in Francia, e avesse sangue italiano, divenne comandante dell’esercito imperiale e fu sempre fedele all’Austria.
Eugenio di Savoia fu un personaggio sfuggente e complesso, come testimonia la biografia dedicatagli quarant’anni fa dallo storico e diplomatico inglese Nicholas Henderson, e ora tradotta in italiano da Corbaccio (pagg. 400, euro 22) mentre Garzanti ha appena ristampato in tascabile un’altra storica biografia del condottiero, quella di Franz Herre (pagg. 340, euro 12). Eugenio era l’ultimo dei capitani di ventura, ma anche un intelligente riformatore dell’esercito asburgico e un precursore della guerra moderna. Potremmo ricordarlo, in questi tempi di guerre di civiltà, come l’eroe della riscossa cristiana contro l’Islam. Potremmo annoverarlo tra gli esempi del valore militare italico, in opposizione alle scarse prove di virtù e di coraggio date dai Savoia nel nostro secolo e di contro al luogo comune dell’italiano che scappa in battaglia (luogo comune spesso diffuso dai francesi, a onta delle loro proprie disfatte militari, comprese quella subìta appunto a opera di Eugenio). Ma la sua è soprattutto una meravigliosa storia settecentesca, piena di chiaroscuri, sullo sfondo delle guerre e dei giochi diplomatici tra i regnanti dell’Ancien Régime.
Ed è in un clima di intrighi che Eugenio deve muoversi fin dalla nascita, avvenuta a Parigi nel 1663. L’ambiente è quello della corte del Re Sole, Luigi XIV. Sua madre, Olimpia, è nipote del cardinale Mazarino, che l’aveva portata a corte con le sorelle per accrescere il suo potere di eminenza grigia giostrandone le relazioni sessuali e matrimoniali. Olimpia fu favorita e amante del re fin dalla prima adolescenza. Ma presto cadde in disgrazia e fu spedita in esilio con l’accusa di avere avvelenato il marito, un Savoia. Eugenio decise di lasciare la Francia per mettersi al servizio degli Asburgo. Scappò di nascosto, travestito da donna, ma nessuno gli corse dietro: Luigi XIV non riteneva di avere perso un uomo importante per il suo regno. Per il re il primo smacco fu proprio la sconfitta, a Vienna, dei turchi, che la Francia sosteneva in funzione antiaustriaca. Anche questo serva a ricordare quanto, da sempre, sia frastagliata e asservita al calcolo politico la contrapposizione tra Occidente e Islam.
Impossibile ripercorrere la folgorante ascesa di Eugenio, terrore dei Turchi e dei Francesi, “principe Sole”, come lo chiamavano a Vienna, dove si fece costruire lo splendido palazzo del Belvedere. Era un soldato che combatteva in prima linea, ferito nove volte in battaglia, ma anche un abile diplomatico e consigliere degli imperatori d’Austria. A 72 anni, era ancora sul campo di battaglia: paralizzato dalla vita in giù, e squassato da colpi di tosse continui, per cui l’imperatore d’Austria, timoroso del contagio, comunicava con lui solo per iscritto.

Morì nel 1736 e, per tre giorni, tutte le campane delle chiese di Vienna suonarono a lutto. Il corteo funebre ci mise tre ore a sfilare per la città: c’erano tutti, mutilati di guerra, uomini di chiesa, rappresentanti della dinastia imperiale. Non c’erano parenti né membri di Casa Savoia.

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