Buffo: "L’Europa si sta preparando all’idea di conflitto, e questo mi preoccupa enormemente"

L'ad di Cisla: "Quello che colpisce è che la classe dirigente europea sembra convinta che la risposta sia rincorrere le grandi potenze sul terreno degli armamenti, ma quella è una partita che abbiamo già perso"

Buffo: "L’Europa si sta preparando all’idea di conflitto, e questo mi preoccupa enormemente"
00:00 00:00

“L’Europa si sta preparando all’idea di conflitto, e questo mi preoccupa enormemente. Quello che colpisce è che la classe dirigente europea sembra convinta che la risposta sia rincorrere le grandi potenze sul terreno degli armamenti, ma quella è una partita che abbiamo già perso. Il vero ruolo strategico dell’Europa dev’essere far pesare il proprio valore manifatturiero: senza le nostre produzioni di eccellenza, senza componentistica, know-how e tecnologia, interi comparti industriali globali si fermerebbero o subirebbero ritardi insostenibili”.

Non ha dubbi Giancarlo Buffo, amministratore delegato di Cisla, azienda del Canavese, in provincia di Torino, punto di riferimento per le produzioni di altissima qualità nel settore dello stampaggio a caldo e delle lavorazioni meccaniche, con clienti del calibro di Ferrari, Maserati, Porsche, Bmw, Audi e Aston Martin nell’automotive, di Alstom nel ferroviario e di Framatome nel nucleare. La sua voce è quella di milioni di piccole e medie imprese che rappresentano la spina dorsale del sistema produttivo italiano, ma che spesso non riescono a farsi sentire. E, a suo avviso, l’Unione Europea sta inseguendo una strategia che le impedisce di valorizzare i suoi (tanti) asset, e che la sta progressivamente facendo scivolare nell’irrilevanza a livello industriale e geopolitico. O, peggio ancora, verso la guerra.

“Noi siamo strategici non perché inseguiamo quello che fanno gli altri, ma perché portiamo eccellenza negli altri continenti”, spiega. “Se l’Europa si ferma, si ferma la manifattura mondiale”.

In tal senso il modello europeo attuale non funziona. “Le politiche comunitarie non sono orientate a migliorare la qualità della vita dei cittadini, ma sembrano aggravare fragilità già esistenti. Penso al green a tutti i costi entro il 2035: una scadenza tecnologicamente e tecnicamente irrealistica, che rischia di penalizzare le imprese anziché stimolarle. Serve un cambio di paradigma, e l’Italia potrebbe guidarlo grazie a un tessuto di PMI flessibili, a un welfare solido e a un Governo che oggi ha un’autorevolezza riconosciuta a livello internazionale”.

Nel frattempo, lo scenario industriale appare sempre più diviso. L’esperienza di Cisla, che rappresenta una sorta di piccolo osservatorio, racconta di un automotive in rallentamento, con pochi nuovi modelli all’orizzonte. Crescono, invece, gli investimenti sui comparti ferroviario e nucleare, così come sulla difesa e la logistica. “Ci sono interi settori che corrono e altri che arrancano”, conferma Buffo. “Bisogna capire cosa accadrà nei prossimi mesi, perché in una logica di conflitto cambierebbero i paradigmi”. E il fronte dell’approvvigionamento di energia, che al momento appare sotto controllo grazie alla diversificazione delle forniture, potrebbe non essere garantito in futuro. Soprattutto senza investimenti adeguati.

La buona notizia è che l’Italia, in questo quadro, mostra una capacità di reazione e rilancio superiore a quella degli altri grandi Paesi europei. “La nostra forza è nelle PMI, che rappresentano il 60% del Pil e garantiscono 6 milioni di occupati. Qualcuno le definisce un’anomalia: io dico che rappresentano un’anomalia che funziona. La capacità di innovare e creare brand diffusa nelle nostre imprese non ha eguali. E allora non dobbiamo perdere questo valore, ma rafforzarlo, anche pensando a singole Valley quotate in Borsa che garantiscano fondi e strategia per valorizzare le competenze senza disperderle”.

Sullo fondo resta la vera sfida: la definizione di un nuovo ordine mondiale. “L’obiettivo è quello di arrivare a una nuova Bretton Woods, ma quanto sta accadendo ci dice che non siamo ancora pronti a trovare un punto di equilibrio. Nel frattempo cresce una cultura della guerra che penetra persino nelle scuole, e questo è preoccupante.

Lo sforzo della classe dirigente dovrebbe essere quello di evitare ad ogni costo la guerra, e invece sembra che ci sia una direzione esterna che ci porta su un’altra strada. Io resto convinto che l’Europa debba puntare sulle sue eccellenze e sul proprio know-how. Solo così può essere davvero strategica per il mondo e per il futuro delle nuove generazioni”.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica