Dazi, Draghi sferza l'Ue: "Siamo al punto di rottura, cosa deve fare Bruxelles"

Secondo l'ex premier, la politica dei dazi di Trump ha distrutto definitamente l'ordine multilaterale. Sull'energia: "Non siamo stati all'altezza della transizione verso le rinnovabili"

Dazi, Draghi sferza l'Ue: "Siamo al punto di rottura, cosa deve fare Bruxelles"

Dazi, rottura dell’ordine internazionale, crescita economica debole e frammentazione politica. Il quadro della situazione dell’Unione europea dipinto da Mario Draghi nella sessione di chiusura del simposio Cotec, in Portogallo, non è dei migliori.

“Cambiamenti sono in corso da diversi anni e la situazione si stava deteriorando anche prima del recente innalzamento delle tariffe. Quindi, le frammentazioni politiche interne e la crescita debole ha reso più difficile una effettiva risposta europea”, ha spiegato l’ex premier. “Ma gli eventi più recenti rappresentano un punto di rottura. L'uso massiccio di azioni unilaterali per risolvere le controversie commerciali e il definitivo esautoramento del Wto hanno minato l'ordine multilaterale in modo difficilmente reversibile”.

Draghi ha sottolineato che l’Ue, essendo una grande economia, è molto aperta al commercio e questo “aumenta notevolmente l'esposizione della nostra crescita e dell'occupazione alle misure politiche dei nostri partner commerciali e ai cicli politici che hanno origine al di fuori dell'Europa”. In particolare, sono propri i rivolgimenti negli Stati Uniti ad avere l’impatto maggiore. “Siamo esposti direttamente, poiché gli Stati Uniti sono il nostro principale mercato di esportazione, con oltre il 20% delle nostre esportazioni di beni destinate oltreoceano. E siamo esposti anche indirettamente, poiché gli Stati Uniti sono la principale fonte di domanda per i nostri partner commerciali”, ha aggiunto. “Le analisi della Bce mostrano che, in caso di shock al PIL degli Stati Uniti, questi effetti indiretti sull'area dell'euro superano in realtà gli effetti diretti. Le recenti azioni dell'amministrazione statunitense avranno sicuramente un impatto sull'economia europea. E anche se le tensioni commerciali si attenuano, è probabile che l'incertezza permanga e agisca da vento contrario per gli investimenti nel settore manifatturiero dell'Ue”.

Secondo l’ex governatore della Bce, “dovremmo chiederci perché abbiamo smesso di essere nelle mani dei consumatori statunitensi per guidare la nostra crescita. E dovremmo chiederci come possiamo crescere e generare ricchezza da soli”, ma realisticamente non sarà possibile diversificare dagli Usa nel breve periodo e le speranze che “l’apertura al mondo” possa sostituire l’alleato d’oltre oceano sarà “probabilmente deluse”. A lungo termine, inoltre, “è un azzardo credere che il commercio con gli Stati Uniti tornerà alla normalità dopo una rottura unilaterale così importante di questa relazione, o che nuovi mercati cresceranno abbastanza velocemente da colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Se l'Europa vuole davvero dipendere meno dalla crescita statunitense, dovrà produrla da sola”.

Draghi ha poi fatto un confronto tra l’economia di Washington e quella dell’Ue, sottolineando come “dal 2009 al 2019, la posizione fiscale collettiva corretta per il ciclo nell'area dell'euro è stata in media dello 0,3%, rispetto al -3,9% degli Stati Uniti. La principale vittima di questo consolidamento sono stati gli investimenti pubblici”. Inoltre, ha criticato l’attenzione data alla competitività esterna rispetto alla produttività interna: “Dal 2000, la crescita annuale della produttività del lavoro nell'Ue è stata appena la metà di quella degli Stati Uniti, causando un divario cumulativo di produttività di 27 punti percentuali nell'intero periodo. Ma invece di cercare di invertire la tendenza della produttività, abbiamo adattato le nostre politiche del lavoro ad essa. Soprattutto dopo le crisi, abbiamo fatto uno sforzo deliberato per sopprimere la crescita dei salari e aumentare la competitività esterna. I nostri salari reali non sono riusciti a tenere il passo anche con la nostra lenta produttività, mentre i salari reali statunitensi sono aumentati di 9 punti percentuali in più rispetto a quelli dell'area dell'euro in questo periodo”.

Per quanto riguarda la dipendenza dell’Unione dalle importazioni di energia estere, Draghi ha sottolineato che “abbiamo pagato un prezzo elevato” quando la Russia ha tagliato le forniture di gas, perdendo più di un anno di crescita economica. “Ora stiamo cercando di accelerare la transizione verso le energie rinnovabili per rafforzare la nostra indipendenza energetica. Ma ciò richiede una trasformazione fondamentale del nostro sistema energetico che non siamo stati in grado di realizzare”, ha affermato. “I prezzi elevati dell'energia e le carenze della rete sono, in primo luogo, una minaccia per la sopravvivenza della nostra industria, un ostacolo importante alla nostra competitività e un onere insostenibile per le nostre famiglie e, se non affrontati, rappresentano la principale minaccia alla nostra strategia di decarbonizzazione”.

Strettamente collegata a questo argomento anche la guerra in Ucraina, dove secondo Draghi “saremo probabilmente spettatori passivi in un negoziato di pace che riguarda il nostro futuro e i nostri valori” perché è troppo tardi per influenzare gli eventi a breve termine, nonostante il fatto che “abbiamo fornito circa la metà degli aiuti militari all'Ucraina”.

L’ex premier ha anche parlato di sviluppo tecnologico, evidenziando il fatto che l’Europa è rimasta indietro nel campo del cloud computing e dell’intelligenza artificiale. “Abbiamo continuato a creare un ambiente che ostacola l'innovazione radicale. La frammentazione del nostro mercato unico ha impedito alle start-up tecnologiche di raggiungere la dimensione necessaria per avere successo in questo settore”, ha detto. “Ci troviamo di fronte a un quadro normativo eccessivo in alcuni settori chiave e, peggio ancora, frammentato.

Ci sono oltre 270 autorità di regolamentazione attive nelle reti digitali in tutti gli Stati membri”, ha concluso, ponendo l’accento sul fatto che le piccole imprese tecnologiche europee non hanno avuto la possibilità di conformarsi alla mole di regole, a differenza dei giganti della concorrenza statunitense.

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