Nel bailamme di numeri citati spesso a sproposito, per avere una oggettiva valutazione del reale impatto che le automobili hanno sull’ambiente, è bene tenere fermi nella mente questi numeri: l’intero parco circolante europeo emette l’1% del CO2 (anidride carnonnica) mondiale; i NOx (ossidi di azoto] prodotti dall’insieme dei motori endotermici di tutte le vetture continentali sono il 2,7% di quelli europei. Per rendervi ancora più chiara la situazione, la Cina aumenta ogni 7 mesi le proprie emissioni di anidride carbonica, quanto l’intero parco automobili dell’Unione europea emette in un anno. Di fronte a questi dati ci si chiede quali siano le reali motivazioni che spingono un intero Continente, il nostro, a investire miliardi e miliardi di euro in una riconversione industriale verso il "tutto elettrico" abbastanza improbabile e che porta dietro di sé strascichi sociali ed economici sicuramente imprevedibili.
Non trovando motivazioni razionali né tanto meno scientifiche, appare sempre più evidente che la disputa non sia di carattere ambientale, ma più specificatamente politico. L’automobile elettrica, lo si è visto chiaramente nel computo dei voti all’Europarlamento, è divenuto un manifesto ideologico non questionabile, intorno al quale si sono raggruppati i partiti della sinistra e dei verdi. Nella primavera del 2024 le elezioni del nuovo Parlamento europeo rimescoleranno le carte, ed essendo l’auto elettrica, appunto un manifesto politico, sarà un tema estremamente dibattuto durante tutta la realativa campagna elettorale.
La direttiva comunitaria prevede, infatti, entro il 2026, una verifica dello status di fattibilità del progetto che evidentemente rappresenta un’ultima opportunità di revisione di una legge illiberale e oscurantista del libero sviluppo tecnologico del settore automotive e che può rappresentare un precedente pericolosissimo per l’intero assetto di tutta l’industria europea. Se in passato ci sono stati dei ritardi da parte delle associazioni che rappresentano imprese e lavoratori, questa volta bisogna che esse muovano i propri passi con tempismo, coordinamento europeo e grande determinazione senza i quali si rischia di provocare l’estinzione di un settore con 13 milioni di addetti e portante per l’intera economia dell’Unione, consegnandolo alla Cina.
È necessario essere ben consci del carattere prettamente politico della battaglia perché è proprio sul campo politico che essa va combattuta, forti della ragione dei numeri. A Pechino, nel frattempo, sorridono e ringraziano.di Andrea Taschini, manager automotive
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