Forse l’errore peggiore quando si parla di guerre e diplomazia è trasformare giudizi, magari pure critici, in dispute ideologiche. Tutto viene tradotto in un clima da stadio in risultati calcistici: vince questo, perde l’altro. Il rischio è restare spiazzati com’è accaduto alla sinistra rispetto alle conclusioni dell’ultimo vertice europeo che ha assunto alla vigilia una posizione pregiudiziale contro la premier all’insegna del proverbio giapponese delle tre scimmiette: non vedere, non sentire, non dire. Ha addirittura accusato la Meloni di aver abbandonato Zelensky per poi ritrovarsi il giorno dopo con l’Europa che, anche per merito dell’inquilina di palazzo Chigi, ha usato addirittura - è un inedito - una sorta di eurobond per assicurare all’Ucraina le risorse necessarie per non capitolare di fronte a Putin. Infatti i piddini del giorno dopo sono silenti o parlano d’altro. Oppure come i sovranisti comunitari che hanno ingaggiato un duello a tutto campo contro gli aiuti e di fronte alla concessione di soldi europei a Kiev, sempre per un pregiudizio ideologico, non hanno votato contro ma hanno negato i loro contributi. Dando vita al solito paradosso danubiano (parliamo dell’Ungheria, della Slovacchia e della Repubblica Ceca) che recita: all'Europa i soldi si prendono ma non si danno.
Solo che tira la corda oggi, tirala domani un giorno o l'altro ti ritrovi fuori dall’Unione e neppure lo sai.
Appunto, l’ideologia fa a botte con «il buonsenso», avevamo usato quella parola qualche giorno fa e la premier l’ha ripetuta. Perché l’ideologia acceca e nell’epoca del web, del tweet, dei talk show è anche peggio perché riduce tutto a bianco o nero mentre il mondo è più complesso.
Come la vicenda degli asset, che per molti a sinistra era diventata la cartina di tornasole della solidarietà con Kiev. Il sogno degli ultras era un provvedimento pirotecnico che svuotasse i conti di Putin da un giorno all’altro. È maturata invece una soluzione che va interpretata proprio alla luce del «buonsenso».
Ora l’ipotesi dell’utilizzo degli asset russi è ancora sul banco, proiettata al futuro, ma in una cornice giuridica più solida.
Non potevi prendere i soldi dei russi per fare tout court la guerra ai russi: sarebbe stato rischioso sul piano legale. Diverso è immaginarli come risarcimento per i danni di guerra. Solo che non puoi farlo in un momento in cui la guerra non è ancora finita. Ratio vuole che se ne ritorni a parlare in futuro come già annunciato dalla Commissione, magari per la ricostruzione o se la guerra prenderà una brutta piega come ultima istanza per fornire gli aiuti all’Ucraina necessari per resistere.
Intanto, però, è il dato rilevante con il prestito è stata adottata una procedura ancor più europeista (il debito comune è sempre stato un tabù) che impegna ancor più l’Unione verso Kiev. Non solo politicamente ma anche sul piano delle risorse: se prima c’erano solo i 210 miliardi di asset come aiuti potenziali per l’Ucraina ora ci sono i 210 potenziali (ancora «più immobilizzati» dopo la decisione Ue del 12 dicembre scorso) più i 90 miliardi decisi dall’Europa: 90 pronti all’uso, 210 potenziali, un mare di denaro.
Putin non dovrebbe rallegrarsene e infatti è fuori di sé Bruxelles, come la Germania.
Le lenti del pregiudizio hanno impedito a Elly e alle tre scimmiette di vedere tutto questo. Come pure i sovranisti tutti d’un pezzo che abitano il vecchio continente non hanno capito che ieri è stata una grande giornata per l’Europa: in un momento difficile l’Unione ha dimostrato di essere unita - a parte la scuola danubiana che si è messa fuori da sola- e di essere un alleato leale per Kiev. Ne è corretta l’immagine della Germania sconfitta.