Evasione fiscale di Dolce e Gabbana La Cassazione annulla l’assoluzione

Evasione fiscale di Dolce e Gabbana La Cassazione annulla l’assoluzione

MilanoUn contrordine che rischia di costare caro. Ieri, infatti, la Corte di cassazione ha annullato la sentenza con cui lo scorso 1 aprile il gup di Milano Simone Luerti aveva prosciolto «perché il fatto non sussiste» gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana dalle accuse di infedele dichiarazione dei redditi e concorso in truffa su un imponibile complessivo che sfiorava il miliardo di euro. Una decisione contro cui aveva fatto ricorso il pm Laura Pedio, e che ora è stato accolto dalla suprema Corte. Dunque, toccherà a un nuovo giudice stabilire se mandare a processo i due designer di moda, o chiudere nuovamente il caso. Secondo la Procura, la «Dolce&Gabbana» avrebbe trasferito nel 2004 la sede in Lussemburgo, cedendo per 360 milioni il corredo dei marchi della maison - che garantiscono royalties per milioni e milioni di euro - alla «Gado sarl», controllata dalla «Dolce&Gabbana Luxembourg». Una stima secondo gli investigatori eccessivamente al ribasso e, dato che i brand della maison è stato stimato oltre il miliardo di euro, l’operazione avrebbe consentito un risparmio notevole sulle imposte da pagare per il profitto realizzato. Un altro risparmio colossale sarebbe stato realizzato con il trasferimento societario in Lussemburgo, dove il prelievo fiscale sui profitti è intorno al 4%. Le società sono poi state riportate in Italia nel 2007. Ma secondo il pm il trasferimento formale di una società in un paradiso fiscale con il solo scopo di pagare meno tasse in Italia (dove però l’azienda continua a operare regolarmente), è pari a una truffa.
E nell’inchiesta erano finiti anche tutti i soggetti che avrebbero avuto un ruolo nella esterovestizione.

Tra questi, anche Alfonso Dolce (fratello di Domenico e socio di minoranza della società), i manager Cristiana Ruella e Giuseppe Minoni, la presunta prestanome lussemburghese Antoine Noella e il consulente fiscale e commercialista Luciano Patelli, accusato di aver collaborato alla costruzione della complessa impalcatura societaria.

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