da Roma
Un tempo erano i «dioscuri», gemellini inseparabili mercé la loro comune origine bolognese. Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini, biografie parallele. Lallievo di Giorgio Almirante e quello di Arnaldo Forlani: vagiti nella prima Repubblica e leva adolescenziale nella seconda, grazie allintervento risolutore di Silvio Berlusconi. I migliori rampolli del vecchio regime traghettati felicemente a pilastri del Polo e quindi della Casa. Tanto uniti da far nascere persino sospetti di alleanza tra i due a scapito della comune levatrice.
Ma se la terza Repubblica si propone di cambiare il corso storico, la fine dellamicizia tra Pierfy e Gianfry ne sembra il corollario. E se Casini esagerando avrebbe voluto trasformare lo scranno più alto di Montecitorio in trampolino siderale, natura vuole che oggi lui si trovi a sedere per terra, e il gemello seduto proprio lassù, vissuto come usurpatore. Nascono ruggini, e lex presidente della Camera ieri sè misurato nelle vesti di «maestrina dalla penna rossa», per non perdere loccasione di bacchettare il successore.
Ci vuole il ringalluzzito Antonio Di Pietro per riscaldare un po la platea signorile di questi giorni. Lex pm come tribuno della plebe prova a scalzare Veltroni da leader dellopposizione. Lancia in resta contro il premier: «Ancora una volta sono a dirle che non abbocco, non abbocchiamo... Non intendiamo cadere nella tela del ragno che lei intende tessere con le pacche sulle spalle. Noi conosciamo bene la sua storia... ». «E noi la tua!», urla Guzzanti dai banchi del centrodestra. Dai quali «buuu» e qualche fischio subissano loratore. Il presidente Fini per due volte chiede di non interrompere. Latmosfera si fa calda, lex pm si esalta sul «non abboccamento», e chiede ufficialmente un nuovo intervento dellarbitro. «È compito suo consentirmi... ».
A questo punto Fini si rivolge a Di Pietro: «Onorevole, lei non è nuovo, è abbastanza naturale che ci sia nei limiti... ». «Solo quando parlo io, però», si vittimizza Tonino, attirando la battuta feroce del presidente: «Ovviamente dipende unicamente da ciò che si dice». Insorge Tabacci, schiamazzano i deputati del Pd e quelli dellIdv. Che accolgono con un boato la replica di Di Pietro: «Ha ragione, dipende proprio da ciò che si dice. Non bisogna disturbare il manovratore... ». Controreplica finiana: «Fermo restando che ho già invitato a non interromperla».
La querelle sembra finita con Di Pietro che conduce a termine lintervento senza subire altri dissensi clamorosi (da segnalare il mirabile: «la grammatica!» di Barbareschi). Tocca a Casini parlare, e lex presidente non perde loccasione ostile. Sfodera la penna rossa: «Signor presidente, vorrei ricordarle che i parlamentari non possono essere sindacati, fatti ascoltare o meno a secondo di quello che dicono, altrimenti si apre un precedente pericoloso... ».
La bacchettata non viene raccolta da Fini che evita ogni replica alle domande «fuori luogo» dei cronisti: «Ma le pare che esco fuori per commentare?». Commenterà invece Di Pietro, augurandosi una «semplice scivolata dovuta allinesperienza, non voglio criminalizzare, una seconda chance non si nega a nessuno». Ma poi sbotta: «La lingua batte dove il dente duole, queste sue parole gravissime tradiscono la sua origine». Tace Casini, difendono Fini i colleghi del gruppo. E La Russa si toglie il sassolino dalla scarpa: «Casini ha fatto la maestrina, ma non credo sia in grado di dare lezioni.
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