Economia

Ex sergente diventa il «re delle memorie»

La svolta per il grande salto arriva solo nel 1999 con l’ingresso nella maggioranza di un fondo di private equity, Schroeder, ora Permira

Ha il quartiere generale e parte della produzione quasi al centro d’Italia, a Cittaducale, nei dintorni di Rieti. E ai piedi del Terminillo opera in un mercato difficilissimo come quello dell’elettronica avanzata, ormai tutta concentrata nel Far-East. Possibile? Possibile. Grazie anche a un centro produttivo a Singapore e a un secondo stabilimento in Cina, il gruppo Eems fornisce alle imprese del settore, in gran parte asiatiche, servizi in outsourcing: collauda semiconduttori e realizza package, cioè chip montati nel loro involucro finale. Anzi, il gruppo Eems, dallo scorso aprile quotato a Piazza Affari nel segmento Star, è il principale operatore in Europa nel mercato delle memorie destinate, ad esempio, ai personal computer, telefoni cellulari, macchine fotografiche digitali, lettori Mp3. Ed è tra i primi cinque a livello mondiale. «Siamo un’eccezione in un business per cuori forti», commenta Enzo D’Antonio. Cuori forti? Già, perché questo, spiega, «è un mercato che opera in dollari e cresce del 15% all’anno mentre il valore contenuto nelle memorie aumenta del 50% e i prezzi diminuiscono del 30%. C'è quindi bisogno di forti investimenti e di nervi saldi».
Il look Yul Brinner. Cuore forte e nervi saldi che D’Antonio, quasi un pioniere nel settore delle memorie ma solo da dodici anni alla guida della Eems e da sette anche azionista importante della società in seguito ad un'operazione di management buy-out, deve per forza di cose possedere in dosi massicce. In compenso ha perso quasi tutti i capelli anche se, riconosce, «già da tempo ho sposato il look alla Yul Brinner», e continua a fumare come una ciminiera, più o meno un pacchetto e mezzo di sigarette al giorno. Ma ha sempre l’entusiasmo di un tempo (e, aggiunge, «la costanza») per un mestiere che ha imparato quando era nella Marina militare. Già, perché Enzo D’Antonio, classe 1945, originario di Sant’Arpino in provincia di Caserta, e figlio di un autista, è un mancato perito industriale nel senso che non ha mai preso il diploma a Napoli, ma diventa invece un tecnico di elettronica dopo avere imparato questo mestiere sotto le armi ed essere stato sei anni in Marina tra Taranto, Ischia e a bordo di qualche fregata. E quando nel 1968 si congeda con il grado di sergente, non ha difficoltà a trovare un posto nella vita civile. Pochi mesi alla Plasmon di Latina, quindi eccolo alla Texas Instruments, prima ad Aversa, nei dintorni di Caserta, dove si producevano componenti per lavatrici, e poi nello stabilimento di Rieti in cui erano progettati, costruiti e venduti circuiti integrati a clienti come Olivetti. D’Antonio entra alla Texas Instruments come tecnico di manutenzione delle apparecchiature per il comando dei circuiti integrati, poi è responsabile della manutenzione elettronica, quindi di quella generale. E, gradino dopo gradino, eccolo alla guida nel 1980 dell’unità operativa di una linea di prodotto, i transistor di potenza. Cinque anni più tardi, nel 1985, è responsabile europeo del settore calcolatrici.
Parentesi americana. D’Antonio è un iperattivo di natura. E per quanto sia sposato con Maria Grimaldi e abbia già due figli (Giuseppe, 1973, ha una laurea in ingegneria gestionale e lavora a Parigi in una società di software mentre Marco, 1975, laurea in economia, vive a Milano occupandosi di pubblicità), dopo diciassette anni di Texas Instruments sente il bisogno di cambiare aria. Nel 1987 va così negli Stati Uniti diventando vicepresidente operativo della Micro Power System, una società di Santa Clara, nella Silicon Valley, specializzata nel medicale e nelle applicazioni militari. Due anni dopo i vertici della Texas Instruments gli chiedono di ritornare in Italia, c'è bisogno di uno che guidi lo stabilimento di Cittaducale. Che allora non era poca cosa, dava lavoro a circa ottocento persone. E D’Antonio, che ormai parla inframezzando parole in inglese con modi di dire napoletani, torna. Svolgendo l’incarico anche quando nel 1994 gli americani della Texas Instruments effettuano uno spin off: vendono cioè lo stabilimento di Cittaducale ad un cinese di Hong Kong, Li Tung Lok, un quarantenne brillante con alle spalle diverse imprese di semiconduttori. Nasce così la Eems che vuol dire «European electronic manufacturing system» e produce memorie per semiconduttori in outsourcing, per conto terzi. Anzi, in un primo tempo l’azienda viene battezzata Msi (Manufacturing services international) in quanto all’estero nessuno sa che in Italia c’è un partito politico con quel nome. E si corre ai ripari.
Ed ecco i «wafer». A metà degli anni Novanta la Eems è l'unica azienda europea e l’unica al mondo a produrre in outsourcing. Assembla il materiale dopo avere trattato il silicio, i cosiddetti «wafer», e soprattutto effettua i collaudi di affidabilità e performance, test che danno al prodotto il vero valore aggiunto. Ed i clienti aumentano, dalla Ibm alla stessa Texas Instruments, dalla Micron alla Siemens. Aumentano soprattutto da quando le aziende di semiconduttori decidono di far realizzare all’esterno parte del lavoro che fino a quel momento hanno svolto al loro interno. Ottenendo in questo modo economie di scala e abbreviando i tempi di introduzione del prodotto finito sul mercato.
Il «bagno di sangue». E così il giro d’affari della Eems cresce: 49 milioni di euro nel 1995, poi 69 l’anno dopo, esplode sino a 105 milioni l’anno successivo. Ma nel 1998 la Texas Instruments decide di smettere di fare memorie. E il fatturato crolla del 40%. «Un bagno di sangue», ricorda D’Antonio. E il motivo è semplice: questo è un settore in cui gli investimenti sono massicci, negli ultimi dodici anni ad esempio la Eems ha investito 350 milioni di euro per un fatturato, nello stesso periodo, di un miliardo di euro. Ma con l’uscita di scena della Texas, il flusso di cassa non è più sufficiente per sostenere gli investimenti. La soluzione arriva nel 1999 con l’ingresso nella maggioranza del capitale della Eems di un fondo di private equity, la Schroeder poi diventata Permira. E nell’ambito di tale operazione il top management (sei-sette dirigenti oltre a D’Antonio) entra con una quota del 12% nella compagine societaria dell’azienda. D’Antonio dà fondo a tutte le risorse per avere personalmente circa il 9% del capitale. L’unica cosa che non vende, ricorda, «è la casa».
L’11 settembre. Le difficoltà comunque arrivano di nuovo. Prima la bolla della new economy e poi l’11 settembre creano infatti qualche problema alla Eems, nel senso che la crescita è lenta, molto lenta: 83 milioni di euro il fatturato 2001, 91 milioni nel 2002, 99 nel 2003. E proprio questa crescita lenta spinge D’Antonio a fare una scelta precisa. Dice: «O restare un’eccezione in Europa ma con una vita breve oppure cercare il futuro là dove sono i nostri clienti». Tutti nel Far East, dalla Nanya Technology alla Qimonda e alla Broadcom.
Ed ecco la scelta: «Trovarci nel posto giusto» anche se i problemi del settore riguardano i costi di produzione e di cambio ma non quelli di trasporto. Viene così prima individuato a Singapore un team asiatico di cui fidarsi, poi nel 2005 è acquisita una società che fa collaudi, la Ellipsiz, nel 2006 viene preso in affitto in Cina, a Suzhou, uno stabilimento, operativo in soli sei mesi, per l’assemblaggio e il collaudo di memorie Dram, le memorie di nuova generazione. E per effettuare queste operazioni, D’Antonio ottiene i soldi necessari quotando in Borsa la Eems. Permira scende così al 43% del capitale, D’Antonio a circa il 6% mentre il 51% è distribuito sul mercato. «Siamo di fatto una public company», afferma.
Crescita asiatica. Un’azienda con buone prospettive. Produce 350 milioni di memorie all'anno, più o meno il 4% del mercato; dà lavoro a 1700 dipendenti di cui 500 in Italia; ha un fatturato che nel 2005 ha toccato i cento milioni di euro e quest'anno veleggia verso i 145 milioni. E dal momento che è la crescita asiatica a tirare e lo sarà sempre più in futuro, D’Antonio ha ora il problema di come riconvertire Cittaducale. Diverse, dice, «le alternative possibili: diversificheremo su competenze adiacenti a quelle delle memorie e per business che non sono influenzati da strutture di costi del lavoro alti».
In parole povere, dalla difesa all’aerospazio, dal mercato del bianco ai pannelli solari.


(115. Continua)

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