Ex Varesine addio tra gatti sfrattati e mestieri perduti

Nella stazione distrutta dalle bombe c’era un parrucchiere

(...) un tenace e incongruo Luna Park - e che sono poi stati trasferiti, a cura del Comune, in uno spiazzo periferico privo tuttavia d’allacciamenti di luce e acqua (li ebbero dopo proteste di cittadini, cui anch’io mi ero unito). Non vorrei dare l’impressione d’essere uno di quei nostalgici del buon tempo antico - che poi il più delle volte tanto buono non era - che aborrono ogni novità. So che la sistemazione delle ex Varesine è, per Milano, un passo avanti e un cambiamento importante. Questa parte della città è rimasta a lungo incerta sulla sua identità e sulla sua vocazione, da una parte i grandi alberghi di piazza della Repubblica, dall’altra vie d’impronta ancora popolaresca: simpaticamente fitte di piccoli negozi e di botteghe artigiane (gli uni e le altre a rischio d’estinzione, urge la loro collocazione tra le specie da proteggere).
L’ho avuta sott’occhio, questa Milano che era ex (Varesine) e che non si decideva mai ad essere post, per oltre mezzo secolo. Tolti i binari delle Varesine, in ciò che restava della stazione s’erano accomodati un parrucchiere e un piccolo ufficio turistico (che adesso, avendo traslocato altrove, è una mega agenzia con vetrine lussuose). La via Galilei aveva una certa fama nazionale perché vi si affacciava la sede della Gazzetta dello Sport: e lì, alla vigilia del Giro, veniva celebrata fra tripudi di tifosi la punzonatura delle biciclette sulle cui selle avrebbero posato il loro fondoschiena - questo il termine in uso - i campioni del pedale.
Il recupero delle ex Varesine appartiene, in ritardo, alla mutazione che Milano ha avuto, e che nella sua fase iniziale è stata una vera e propria resurrezione. Perchè solo chi ha vista, a guerra finita, la povera Milano dove non c’erano quasi più case, ma c’erano i muri anneriti di case divorate dalle bombe incendiarie dell’agosto 1943, può capire quale gigantesca impresa sia stata la ricostruzione. Si fatica a riconoscere la Milano d’allora in questa di oggi: una Milano il cui cuore è stato colonizzato dagli «stilisti», una Milano dove zone che furono malfamate sono considerate adesso di prestigio. Non ci sono più i bassifondi tradizionali, come porta Ticinese detta porta Cicca, c’è semmai il degrado d’alcune periferie multirazziali.
Comincia per le ex Varesine una nuova vita. Il Pirellone primo dovrà abdicare all’onore d’essere, insieme alla Madonnina, il simbolo della città. Sic transit. Un altro grattacielo svetterà più alto, nobilitando un quartiere guadagnato ai prestigiosi lussi della gran moda.

Spero che resista, nel tourbillon, il simpatico calzolaio che mi risuola le scarpe (pare che sia un’usanza volgare, adesso le si buttano via, ma non rinuncio alle mie abitudini). Spero soprattutto, senza però illudermi, che il tourbillon edificatorio non sacrifichi i gatti.

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