Expo, Cassa depositi e prestiti pronta a rilevare il 15% delle quote

Lotta contro il tempo per definire il progetto da presentare a Parigi. Sulle aree e il nodo dei finanziamenti la novità è il ruolo della Cdp

di Beppe Gobbelli

Il tressette miliardario dell’Expo 2015 continua a essere giocato con il «morto». Anzi, con due «morti». Perché, a meno 15 giorni dalla registrazione in sede Bie del dossier siglato da Letizia Moratti e accompagnato da una lettera firmata da Silvio Berlusconi a garanzia degli impegni assunti davanti al Pianeta Terra dal Comune, né il sistema bancario né il ministero dell’Economia si sono ancora seduti al tavolo della mano finale di una partita dalle vincite (o dalle perdite) a nove zeri.
Ma, se la latitanza degli istituti di credito è spiegabile con il loro mancato coinvolgimento in qualsivoglia piano di valorizzazione del milione di metri quadri scelti per realizzare l’area espositiva, resta da decifrare il catenaccio adottato da via XX Settembre sospettato di un obiettivo non dichiarato: blindare a Roma almeno il 50% degli 825 milioni di euro (1,8 miliardi gli investimenti complessivi) assicurati dal governo per finanziare la realizzazione delle infrastrutture previste.
L’expo-scetticismo spesso manifestato da Giulio Tremonti riguardo agli effetti taumaturgici che l’evento - stando ai documenti allegati nel 2008 alla candidatura di Milano dall’allora plenipotenziario Paolo Glisenti - produrrebbe sull’economia italiana basta, del resto, solo in parte a giustificare il silenzio, mai come in questo caso d’oro, che il ministro s’è imposto in ordine al definitivo sblocco dei fondi statali. Cos’altro si nasconde dietro il ritardo al nulla osta agli stanziamenti cui il Tesoro, socio di maggioranza (47%) di Expo Spa, si attiene? A costo, per di più, di costringere il presidente del Consiglio a prendere tempo in merito alla firma della lettera attesa dal Bie. Berlusconi pare giustamente indisponibile a garantire per iscritto un dossier da Iperuranio (il mondo delle idee di plutoniana memoria) giacché rimane privo sia di un elenco preciso delle opere davvero trasponibili in un lustro dalla carta millimetrata alla realtà, sia di uno schema della copertura finanziaria di ogni singola infrastruttura.
Ma ogni giallo reca con sé risposte compatibili con le sue trame. In quest’ottica, ambienti solitamente ben informati, vicini al dicastero dell’Economia, da qualche giorno starebbero offrendo una nuova chiave di lettura dei tentennamenti di Tremonti che tengono in scacco il sindaco e l’amministratore delegato della società di gestione Lucio Stanca. Il ministro, secondo voci che si fanno via via più insistenti con l’approssimarsi del 30 aprile, termine ultimo imposto dal Bie per registrare il dossier della Moratti e la lettera di Berlusconi, avrebbe focalizzato di recente la sua attenzione sulla risorsa non sfruttata incarnata dalla valorizzazione dei terreni selezionati per ospitare l’area espositiva. Lotti che, com’è noto, appartengono al Gruppo Cabassi, alla Fiera, timonata da Gianpiero Cantoni, a Palazzo Marino e alle Poste italiane (l’impianto meccanizzato di Roserio) e che, come ha intuito per primo il presidente della Provincia Guido Podestà, potrebbero assicurare la bancabilità dell’intero progetto Expo. Realizazzione del progetto nonché sgravare gli enti pubblici, Palazzo Isimbardi in testa - con un bilancio che è un ottavo di quello del Comune e un trentesimo di quello della Regione si ritrova, grazie all’insipienza di Filippo Penati, a dover sborsare il 10% dei 680 milioni di euro a carico dei quattro soci del Tesoro - dall’obbligo di investire senza alcun ritorno sino al 2015.
A patto, naturalmente, che i «magnifici cinque» di Expo Spa (Tesoro, Regione, Comune, Provincia e Camera di commercio) acquisiscano la proprietà delle aree, oggi non edificabili e, per questa ragione, stimate attorno ai 200 milioni di euro, attraverso l’accensione di mutui in grado di coinvolgere (finalmente) il sistema degli istituti di credito nel business. Va da sé che le banche non lesinerebbero certo un maxiprestito dietro la copertura di terreni potenzialmente in grado di quintuplicare il loro valore una volta diventati edificabili dopo il 2015 sull’onda dei Pgt in adozione.
Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare dei veti politici. La Lega, per esempio, vede come il fumo negli occhi l’operazione immobiliare e subordina il suo avallo alla nomina di un direttore generale di Expo Spa di stretta osservanza padana. Personaggio che, però, risulterebbe indigesto al Pdl perché andrebbe ad aggiungersi al consigliere Leonardo Carioni. E Tremonti, per anni ufficiale di collegamento tra Forza Italia e Carroccio, non se la sente di scontentare né agli amici azzurri né quelli lumbard.
Scappatoie? Beh, in via XX Settembre si mormora che, tutto sommato, la Lega non si opporrebbe all’ipotesi che i mutui necessari per comprare le aree venissero erogati non dal sistema bancario ma dalla statalissima Cassa depositi e prestiti. In questo scenario non sarebbe da escludere che Cdp rilevasse un 10-15% della quota di Expo Spa in mano al Tesoro in modo da coprirsi ulteriormente le spalle con l’inserimento fra i titolari dei futuri proventi attivati dall’evento.


Lo scandire dei giorni in vista del 30 aprile è ormai giunto alle ultime battute e la speranza che si possa trovare ora la quadra sulla valorizzazione delle aree scema con il passare dei minuti. A meno che il solito stellone italiano non partorisca il colpo di scena dell’ultimo minuto o si accorga di avere a disposizione competenze importanti non valorizzate.

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